Quando Lewis Carroll pubblicò Alice nel Paese delle Meraviglie nel 1865, probabilmente non immaginava che la sua storia avrebbe ispirato un universo di interpretazioni e adattamenti che attraversano epoche e mezzi espressivi. Il suo racconto non era solo una fiaba per bambini, ma un viaggio simbolico, ricco di personaggi surreali che hanno affascinato generazioni di lettori, artisti e cineasti. Questa fascinazione si è trasformata nel tempo in un fenomeno culturale che ha trovato espressione nel marketing e nel collezionismo. Negli anni '30, quando il cinema stava vivendo una delle sue evoluzioni più significative con il passaggio dal muto al sonoro, il mondo di Alice tornò alla ribalta con nuove forme di diffusione:
Nel 1930, la Carreras Ltd. pubblicò il Black Cat Game of Alice in Wonderland, un gioco da collezione che trasformava i personaggi di Carroll in carte da scambiare e raccogliere.
Nel 1933, Hollywood presentò una nuova trasposizione cinematografica della storia, con Charlotte Henry nel ruolo di Alice e attori celebri come Cary Grant e Edward Everett Horton nei panni delle bizzarre creature del Paese delle Meraviglie.
Attraverso queste interpretazioni si può vedere come il mondo di Alice sia passato dalle pagine di un libro alla cultura del collezionismo, testimoniando il modo in cui il marketing del periodo prendeva ispirazione da opere letterarie per creare nuove forme di intrattenimento. Seguendo il filo della narrazione, possiamo collegare i personaggi del film del 1933 alle carte collezionabili, un viaggio tra letteratura, cinema e memorabilia per riscoprire un pezzo di storia attraverso il collezionismo.
Agli arbori del cinema
Alice nel Paese delle Meraviglie e i suoi primi esperimenti visivi
Nel 1903, appena 37 anni dopo la pubblicazione del romanzo di Lewis Carroll, il cinema britannico realizzò la prima trasposizione cinematografica di Alice nel Paese delle Meraviglie. Diretto da Cecil Hepworth e Percy Stow, questo cortometraggio muto di 8 minuti rappresentò un esperimento pionieristico nell’ambito del cinema fantasy, cercando di tradurre in immagini il mondo surreale di Alice.Nonostante i mezzi rudimentali dell’epoca, il film cercò di ricreare la magia del libro attraverso effetti speciali innovativi per il tempo:
Riduzione e ingrandimento di Alice, per simulare le sue trasformazioni magiche.
Scenografie dipinte a mano, che evocavano l’atmosfera fiabesca del romanzo.
Movimenti teatrali degli attori, che compensavano la mancanza di dialoghi e contribuivano a rendere il film più espressivo.
Questa prima versione dimostrò quanto la storia fosse già radicata nell’immaginario collettivo, tanto da diventare uno dei primi soggetti cinematografici della storia. Sebbene molte parti del film siano andate perdute, una versione restaurata dalla British Film Institute ci permette di riscoprire questa rara testimonianza del cinema delle origini.Il successo di Alice nel Paese delle Meraviglie nel mondo del cinema non si fermò a questa prima trasposizione. La sua popolarità continuò a crescere, portando a nuove versioni mute che precedettero l’avvento del sonoro.
La prima versione americana di Alice nel Paese delle Meraviglie
Nel 1915, il regista W.W. Young realizzò la prima trasposizione cinematografica americana della storia di Alice nel Paese delle Meraviglie. Questo film, più lungo rispetto alle versioni precedenti (circa 52 minuti), si distinse per un approccio più strutturato alla narrazione e per la sua volontà di integrare elementi di Attraverso lo Specchio nella trama.A differenza del cortometraggio del 1903, questa versione poteva vantare una regia più ambiziosa e una rappresentazione visiva che cercava di rispettare le illustrazioni originali di John Tenniel, molto amate dai lettori dell’epoca. Le scenografie e i costumi riprendevano lo stile del romanzo, contribuendo a mantenere un legame diretto con il materiale letterario. Nonostante il progresso tecnico, il film del 1915 rimase muto, con recitazione fortemente teatrale, tipica dell’epoca. Senza l’ausilio del sonoro, gli attori utilizzavano movimenti marcati e espressioni esagerate per rendere comprensibili le scene. Questa versione fu importante perché consolidò l’interesse del pubblico americano per Alice nel Paese delle Meraviglie, contribuendo alla crescente popolarità della storia nei decenni successivi.
John Tenniel
Self-portrait John Tenniel - Wikipedia
Illustratore e Caricaturista di Alice nel Paese delle Meraviglie
John Tenniel è stato un illustratore e caricaturista britannico di grande rilievo, noto principalmente per il suo lavoro su Alice's Adventures in Wonderland (1865) e Through the Looking-Glass (1871). Le sue illustrazioni hanno definito l'estetica dei personaggi e delle ambientazioni, influenzando profondamente le successive interpretazioni artistiche e cinematografiche. Oltre a questa collaborazione iconica, Tenniel ha avuto un'importante carriera come vignettista politico su Punch, contribuendo alla satira sociale e politica dell'epoca vittoriana.
Nato il 28 febbraio 1820 a Bayswater, Londra, Tenniel era figlio di John Baptist Tenniel, maestro di scherma e danza, e Eliza Maria Tenniel. Cresciuto in un ambiente modesto a Kensington, ricevette un'educazione limitata, apprendendo da suo padre scherma, danza ed equitazione. Tuttavia, la sua vita prese una svolta drammatica quando, all'età di 20 anni, perse la vista nell'occhio destro a causa di un incidente di scherma. Tenniel nascose l'infortunio al padre per non turbarlo e continuò a perseguire la sua passione per l'arte. Dopo un breve periodo di studio alla Royal Academy, Tenniel decise di intraprendere un percorso autodidatta, esponendo il suo primo dipinto alla Society of British Artists a soli 16 anni.
Punch - Luglio 1863
Nel 1850, Tenniel entrò a far parte della rivista satirica Punch, inizialmente affiancando John Leech come cartoonist. Alla morte di Leech nel 1864, Tenniel divenne il principale caricaturista della rivista, un ruolo che mantenne fino al suo ritiro nel 1901. In questo periodo, Tenniel produsse oltre 2.000 caricature, affrontando temi come radicalismo operaio, guerra, economia e politica, contribuendo a plasmare l'opinione pubblica vittoriana. Le sue vignette si distinguevano per l'accuratezza artistica e i commenti incisivi, influenzando profondamente il modo in cui la società percepiva le questioni politiche e sociali.
Card n.11 - FAMOUS PEOPLE - BROOKE BOND TEA (1969)
(collezione personale)
Nel 1864, Lewis Carroll scelse Tenniel per illustrare Alice’s Adventures in Wonderland. Carroll inizialmente tentò di realizzare i disegni da solo, ma insoddisfatto delle proprie capacità, decise di affidarsi a un illustratore professionista. Orlando Jewitt, un incisore di rilievo, gli consigliò Tenniel, già noto per i suoi lavori su Punch.La loro collaborazione, tuttavia, non fu sempre armoniosa. Carroll era estremamente meticoloso, fornendo istruzioni dettagliate, ma Tenniel aveva una visione artistica forte e indipendente. Infatti, Carroll approvò inizialmente solo una bozza: quella di Humpty Dumpty, portando a numerosi scambi e revisioni prima di arrivare alle illustrazioni definitive. Un'altra difficoltà fu la qualità di stampa della prima edizione del 1865. Tenniel era insoddisfatto del risultato e Carroll, pur di garantire un prodotto eccellente, decise di ritirare l’intera tiratura e ristamparla con una qualità superiore. Nonostante le difficoltà, il risultato fu eccezionale. Tenniel illustrò anche Through the Looking-Glass nel 1871, creando immagini che oggi sono considerate icone della letteratura, influenzando edizioni successive e adattamenti cinematografici, teatrali e artistici. Il suo lavoro su Punch contribuì a elevare lo status dei cartoonist e illustratori, trasformando una professione considerata dilettantistica in una rispettata e influente. Nel 1893, Tenniel fu insignito del titolo di cavaliere, diventando il primo illustratore a ricevere tale onore. Oltre agli adattamenti cinematografici e teatrali, l’influenza visiva delle illustrazioni di Tenniel ha raggiunto anche il mondo del collezionismo.

Card n.1 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Un esempio significativo sono le cigarette cards Carreras Black Cat del 1930, una serie di carte da sigaretta altamente collezionabili che riprendono le illustrazioni di Alice’s Adventures in Wonderland. Pur non essendo tutte copie esatte, queste immagini sono chiaramente ispirate alle illustrazioni originali di Tenniel, probabilmente adattate e colorate da E. Gertrude Thomson, come si è visto in edizioni come The Nursery Alice. Le carte sono spesso descritte come “stunning” e “highly collectable”, e in ambito collezionistico vengono frequentemente attribuite a Tenniel, a dimostrazione della sua influenza duratura. Le rappresentazioni artistiche presenti in queste carte mostrano come l'estetica creata da Tenniel per Alice continui a essere celebrata e reinterpretata, mantenendo vivo il suo contributo alla letteratura e alle arti visive. Nonostante la loro evoluzione rispetto agli originali, il legame con il lavoro di Tenniel rimane evidente, sottolineando quanto le sue illustrazioni abbiano definito l’immaginario visivo di Alice.
Dal 1915 al cinema sonoro
Alice e l’evoluzione dell’intrattenimento
Fin dagli albori del cinema, Alice nel Paese delle Meraviglie ha ispirato registi e scenografi. L’adattamento del 1915 riflette l’epoca pionieristica del cinema muto, quando l’immaginazione doveva colmare le lacune tecniche. Le immagini in bianco e nero traducevano in modo sperimentale il linguaggio della letteratura, rispettando l’estetica dei disegni originali ma inevitabilmente piegandosi ai limiti della tecnologia.
Tuttavia, il passaggio al sonoro segnò una svolta radicale nel linguaggio cinematografico. E fu proprio nel 1933 che Alice nel Paese delle Meraviglie ritrovò nuova linfa sul grande schermo, grazie a una produzione ambiziosa che vide protagonisti celebri come Charlotte Henry nel ruolo di Alice e Cary Grant nei panni della Falsa Tartaruga.
Ed è in questo momento magico del cinema che rientra anche una delle testimonianze più toccanti e straordinarie: quella della vera Alice, Mrs. Alice Hargreaves (nata Alice Liddell), la bambina che ispirò Lewis Carroll a raccontare la sua fantasia immortale.
Il giorno di Natale del 1933, all’età di 82 anni, Mrs. Hargreaves vide per la prima volta il film al cinema di Southampton, accompagnata dalla nipotina. Alla fine della proiezione, emozionata, dichiarò:

dalla rivista Picturegoer Weekly (20 gennaio 1934)
"Courtesy of the Media History Digital Library"
«Sono molto felice di aver visto il film», ha detto Mrs. Hargreaves. «È una produzione deliziosa. Sono convinta che il Gatto del Cheshire sia davvero svanito, e che le piccole ostriche scorressero numerose sulla sabbia.
«La battaglia epica tra Tweedledum e Tweedledee, la caduta di Humpty Dumpty, la scena in cucina – tutto è stato reso tangibile per me.
«Il film ha un grande significato, perché, sebbene il libro sia stato adattato più volte per il teatro e illustrato magnificamente da molti artisti, non era mai stato così straordinario come ora, popolato da persone che parlano con le parole di Carroll e somigliano ai disegni di Tenniel.
«I personaggi sono resi in modo meraviglioso e il tutto è un grande successo. Mi fa piacere che i costumi e gli abiti siano il più possibile fedeli al lavoro di Tenniel e che gli attori siano stati attenti a rimanere fedeli alla storia scritta da Carroll.
«Devo dire che non era facile trasformare la fantasia in realtà. Gli attori hanno dovuto per forza usare le proprie interpretazioni, ma penso abbiano fatto un ottimo lavoro. Sono molto soddisfatta del film.
«Sono davvero felice di averlo visto. È una produzione deliziosa, e sono convinta che avrà un grande successo.»

Alice Liddell -Photo by Lewis Carroll - Wikipedia
Mrs. Hargreaves è oggi il legame più diretto con Lewis Carroll e tutto ciò che lo riguarda, poiché fu a lei – allora Alice Liddell – che l’autore raccontò la sua immortale fantasia durante calde giornate estive lungo il Tamigi.
Fu unicamente per divertire questa vera Alice e le sue due sorelle che la storia prese forma. Un amico intimo di Carroll lo convinse a metterla per iscritto e a pubblicarla, e così Alice nel Paese delle Meraviglie venne donato al mondo.
Il giorno di Natale, Mrs. Hargreaves, ha visto il film ispirato ad Alice nel Paese delle Meraviglie al cinema locale insieme alla nipotina Mary Jean Hargreaves. Il teatro a Southampton era gremito di gente desiderosa di scoprire che impressione avrebbe suscitato la pellicola nella donna che fu la vera Alice.
Dopo quella magica proiezione natalizia, Mrs. Hargreaves trascorse ancora pochi mesi. Morì nel 1934, all’età di 82 anni, chiudendo un cerchio iniziato oltre settant’anni prima lungo il fiume Isis. Era stata musa, testimone del cambiamento di un’epoca, madre segnata dalla guerra, e infine spettatrice del riflesso cinematografico del proprio passato.
Alice Pleasance Liddell Hargreaves nel 1932
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Non era più solo una bambina in un paese delle meraviglie, ma una donna che aveva attraversato le meraviglie – e le ombre – del tempo.
Fu sepolta a Lyndhurst, nel cuore del New Forest, e sulla sua lapide è inciso semplicemente: “Alice Hargreaves, nata Alice Liddell.”
Una vita reale che ispirò la fantasia, e che fino alla fine custodì con grazia il sogno di Carroll.
QUANDO IL SUONO NON BASTAVA
Poster del Film (1931)
Wikipedia
Tuttavia, tra il silenzio del 1915 e lo splendore del grande schermo del 1933, si colloca un tentativo quasi dimenticato ma storicamente significativo: il film del 1931, diretto da Bud Pollard. Si trattava della prima trasposizione sonora di Alice nel Paese delle Meraviglie, realizzata con mezzi esigui e uno stile ancora incerto, quasi artigianale. Girato negli studi Metropolitan di Fort Lee, nel New Jersey, e interpretato da Ruth Gilbert nel ruolo di un’Alice già adulta, il film cercava di rimanere fedele ai dialoghi originali di Carroll, ma lo fece con un’estetica povera e una recitazione teatrale che oggi appare fuori tempo.
Fotografia promozionale del 1931
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Gli attori si muovevano in scenografie scarne, i costumi erano rudimentali, e alcune scene come quella del tè o quella con la Regina risultavano più inquietanti che surreali. L’opera passò quasi inosservata, e oggi resta un tassello fragile ma fondamentale nel mosaico degli adattamenti carrolliani: un ponte instabile tra il cinema muto e il sogno orchestrato dal sonoro. Proprio quel fallimento diede forza alla Paramount, che due anni dopo avrebbe riportato Alice al centro dell’immaginario collettivo con una visione molto più ambiziosa.
Alice nel Paese delle Meraviglie (1933)
un incanto celuloide prima del tempo
Poster del film (1933)
"Courtesy of the site doctormacro.com"
Immagina di essere nel 1933, tra i velluti di un cinema elegante mentre le luci si abbassano. Sullo schermo, prende vita un mondo bizzarro e incantato, plasmato da una tecnologia ancora imperfetta ma spinta dal desiderio febbrile di stupire. È Alice in Wonderland, la visione della Paramount, e il pubblico dell’epoca ne resta stregato.
Questo film non fu solo un adattamento: fu un esperimento ardito, una sfida tra arte e artigianato. I costumisti realizzarono maschere monumentali che coprivano totalmente il volto degli attori, un’idea audace per un’epoca in cui il cinema sonoro stava ancora trovando la propria voce. Il risultato? Figure incredibilmente somiglianti alle illustrazioni di Tenniel, ma animate da voci celebri che rendevano ogni scena un piccolo teatro dell’assurdo.
Charlotte Henry, appena diciassettenne, portò in scena un’Alice genuina e malinconica, smarrita e viva in egual misura. Accanto a lei, icone del cinema come W.C. Fields, che si diverte a reinventare Humpty Dumpty con sorniona autorevolezza, e un Cary Grant sorprendente, quasi irriconoscibile, nel ruolo della Falsa Tartaruga, dimostrano quanto l’immaginazione possa ribaltare le regole del divismo.
Ogni sequenza sembra nata da un sogno lucido: il cappellaio matto che muove tazze come se danzassero da sole; il Gatto del Cheshire che svanisce a intermittenza; le ostriche che si inseguono come bambini sulla spiaggia. E poi i dialoghi: pur con la voce ovattata degli altoparlanti dell’epoca, le parole di Carroll rimangono intatte nella loro incantevole assurdità.
Questo Alice non fu solo cinema: fu uno specchio magico. Una rifrazione carnevalesca dell’immaginario vittoriano in una Hollywood che stava scoprendo il potere ipnotico dello schermo sonoro. Una parentesi di meraviglia nel bel mezzo di una Grande Depressione, in cui anche gli adulti si concessero di tornare bambini, almeno per un'ora e mezza.
Tenniel prende vita
Attori, costumi e cigarette cards nell’immaginario visivo degli anni Trenta
Se il film del 1933 è un portale che ci invita a varcare lo specchio, è solo osservandolo da vicino, dietro le quinte, tra stoffe cucite a mano e sguardi nascosti dietro maschere teatrali, che si comprende la vera ambizione di quel progetto: non adattare semplicemente Lewis Carroll, ma incarnare Tenniel.
Perché ogni fotogramma, ogni costume, ogni posa degli attori sembra inseguire non la realtà, ma quel particolare stile vittoriano che Sir John Tenniel aveva tracciato quasi settant’anni prima. I suoi personaggi, nati da chine e incisioni, trovano qui una seconda vita: inquieta, poetica, spesso surreale.
Ed è proprio questo il cuore di questo capitolo: esplorare chi ha dato corpo a quelle figure, come sono stati realizzati i costumi che replicano l’illustrazione, e perché quelle piccole carte collezionabili , le cigarette cards, ci restituiscono oggi lo stesso incanto di allora, in scala tascabile.
ALICE
John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
Wikipedia
Card n.25 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Charlotte Henry (1933)
Pinterest.com
Nel cuore di questo mondo capovolto, tra regine furiose, animali parlanti e logica ribaltata, c’è lei: Alice, la bambina che osserva, domanda, si perde e si ritrova. Nel film degli anni Trenta, a incarnarla è Charlotte Henry, appena diciannovenne, al suo primo ruolo da protagonista. Eppure, la sua Alice non è solo una figura narrativa: è l’asse emotivo attorno a cui ruota l’intero Paese delle Meraviglie.
Henry porta sullo schermo un’Alice che non è mai caricatura: è curiosa ma composta, sognante ma lucida, sempre in bilico tra l’infanzia e la consapevolezza. I suoi occhi spalancati non sono solo quelli di una bambina stupita, ma quelli di una giovane donna che comincia a interrogarsi sul senso delle cose. In un mondo dove tutti parlano per enigmi, Alice è l’unica che cerca il significato.
Il costume, semplice e fedele alle illustrazioni di Tenniel, abito azzurro, grembiule bianco, fascia tra i capelli, la rende immediatamente riconoscibile. Ma è la sua presenza a renderla viva: Charlotte Henry si muove con grazia teatrale, reagisce con stupore genuino, e riesce a mantenere la propria umanità anche quando tutto intorno a lei è maschera e parodia.
Alice tra creature grottesche, Alice che ascolta, che corre, che si ferma a pensare. È il filo d’oro che tiene insieme il sogno, la bussola emotiva dello spettatore.
E forse è proprio questo il segreto del film: in mezzo a un carnevale di assurdità, ci ricorda che crescere, come Alice, significa imparare a camminare nel meraviglioso senza smarrirsi.
THE MOCK TURTLE
John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
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Card n.47 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Cary Grant e il costume indossato nel film (1933)
"Courtesy of the site doctormacro.com"
Tra le creature più enigmatiche del Paese delle Meraviglie, la Falsa Tartaruga è forse la più struggente. Un essere ibrido, metà tartaruga e metà vitello, nato da un gioco di parole vittoriano (la “mock turtle soup” era una zuppa economica che imitava quella di tartaruga vera), eppure nel film del 1933 diventa qualcosa di più: una figura dolente, poetica, quasi shakespeariana.
Sotto il pesante costume, Cary Grant, già astro nascente di Hollywood, offre un’interpretazione sorprendente. La sua voce, riconoscibile anche attraverso la maschera, conferisce al personaggio una dolcezza malinconica, un senso di nostalgia per un passato che forse non è mai esistito. I suoi movimenti sono lenti, quasi acquatici, come se portasse davvero il peso di un guscio invisibile.
La scena in cui racconta ad Alice la sua infanzia “scolastica” sotto il mare, con il maestro Tortoise “perché ci insegnava (taught us)”, è un piccolo capolavoro di nonsense e tenerezza. Grant riesce a rendere credibile l’assurdo, trasformando un personaggio grottesco in una creatura fragile e memorabile.
Le immagini con il costume dalla testa bovina, le pinne e il collare vittoriano, restituiscono perfettamente questa ambiguità: una maschera comica che nasconde un’anima triste. E in questo, forse, la Falsa Tartaruga è il personaggio che più incarna lo spirito di Carroll: un sorriso che si piega in malinconia, un gioco che diventa riflessione.
LA DUCHESSA
John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
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Card n.21 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Charlotte Henry e Alison Skipworth, al centro la maschera della Duchessa (1933)
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Nel mondo di Carroll, la Duchessa è una figura ambigua: sgradevole ma affascinante, burbera ma improvvisamente affettuosa. Nel film degli anni Trenta, Alison Skipworth ne fa un ritratto memorabile, accentuando il lato grottesco del personaggio con una presenza scenica imponente e una voce roca, quasi da matrona vittoriana.
Il costume è tra i più teatrali del film: una testa sproporzionata, naso adunco, guance rubiconde e un abito barocco, che la fa sembrare uscita da un dipinto satirico del Settecento. Eppure, sotto quella maschera caricaturale, Skipworth riesce a infondere alla Duchessa una strana umanità: ride sguaiatamente, si avvicina troppo, parla troppo forte, ma c’è qualcosa di tenero nella sua goffaggine.
John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
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Card n.15 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Alison Skipworth, la Duchessa, Billy Barty, il bambino (1933)
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La scena in cui tiene in braccio il neonato (che poi si trasforma in un maialino!) è un piccolo capolavoro di comicità surreale. La sua interazione con Alice è fatta di contrasti: autoritaria e invadente, ma anche stranamente affettuosa, come una zia stramba che non si sa mai se abbracciare o evitare.
Queste immagini mostrano benissimo questa ambivalenza: una figura che fa ridere e inquieta allo stesso tempo, perfettamente in linea con lo spirito di Tenniel. E Skipworth, con la sua esperienza teatrale, sa come dominare la scena anche sotto chili di trucco e tessuto.
IL GRIFONE
John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
Pinterest.com
Card n.48 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
William Austin, Charlotte Henry e Cary Grant (1933)
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Nel bestiario fantastico di Carroll, il Grifone è una creatura mitologica dal corpo leonino e ali d’aquila, ma nel film degli anni Trenta diventa qualcosa di più: una caricatura vivente dell’autorità che non si prende mai troppo sul serio. A interpretarlo fu William Austin, attore britannico dalla lunga carriera, noto per i suoi ruoli eccentrici e per la sua mimica espressiva, perfetta per un personaggio tanto grottesco quanto teatrale.
Il costume è tra i più spettacolari del film: una testa piumata con becco ricurvo, occhi spalancati e una criniera leonina, il tutto montato su un corpo massiccio e piumato che sembra uscito da un’incisione medievale. Ma è il modo in cui Austin si muove a scatti, con gesti ampi e sguardi sdegnati a dare al Grifone una personalità tutta sua: un misto tra sergente da caserma e attore da vaudeville.
Nel racconto, il Grifone accompagna Alice dalla Falsa Tartaruga e la incalza con versi gutturali come “Hjckrrh!”, che nel film diventano una specie di tic comico, un grugnito teatrale che spezza il ritmo e fa sorridere. È impaziente, sarcastico, eppure stranamente protettivo nei confronti di Alice, come un vecchio zio scorbutico che si affeziona suo malgrado.
William Austin riesce a rendere tutto questo anche sotto chili di piume e lattice: la sua voce roca, l’accento cockney e la postura rigida trasformano il Grifone in una figura memorabile, che sembra uscita da un sogno disturbato… o da una commedia dell’assurdo.
Le immagini mostrano benissimo questa ambiguità: una creatura che fa ridere, ma che incute anche un certo rispetto, come se sapesse qualcosa che noi non sappiamo. E forse è proprio così: il Grifone è il custode di un nonsense che non ha bisogno di spiegazioni.
IL BIANCONIGLIO
John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
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Card n.28 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)(collezione personale)
Poster "ALICE IN THE WONDERLAND"
"Courtesy of the site doctormacro.com"
Nel film degli anni Trenta, la figura iconica del Bianconiglio prende corpo grazie a Richard “Skeets” Gallagher, attore americano noto per i suoi ruoli nei film brillanti degli anni ’20 e ’30. Con la sua parlantina veloce e lo sguardo irrequieto, Gallagher si rivela una scelta perfetta per incarnare il terrore del ritardo che definisce questo personaggio: non è solo un coniglio parlante, ma un’ansia ambulante in panciotto. Il costume è tra i più memorabili della pellicola: una gigantesca testa da coniglio scolpita, occhi sgranati e fissi nel panico, baffi rigidi come spilli, e un abito elegante da gentiluomo d’epoca, con tanto di orologio da tasca. È Tenniel che prende vita, ma filtrato attraverso lo sguardo eccentrico del cinema hollywoodiano. Gallagher non si limita a indossare un costume: lo abita completamente. Le sue movenze nervose, lo scatto continuo del collo, le mani che tremano mentre consulta l’orologio, tutto racconta una creatura che ha fatto del ritardo una condizione esistenziale.

Card n.3 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Il suo “I’m late! I’m late!” (reso in italiano con il celebre “È tardi! È tardi!”) è più di una battuta: è un mantra, un lamento, una colonna sonora ansiosa che accompagna Alice nel suo ingresso nel paradosso. Eppure, nonostante la caricatura, Gallagher riesce a mantenere un tocco di vulnerabilità. Sotto lo sguardo allarmato del Coniglio si intuisce la paura reale delle conseguenze, soprattutto quando la Regina di Cuori entra in scena. È un personaggio buffo, sì, ma anche specchio delle nostre paure quotidiane: quella di non essere all’altezza, di arrivare troppo tardi, di non avere più tempo. E nel cuore visivo del film, tra maschere e piume, lui rimane il battito accelerato che mette in moto tutto il meraviglioso caos.
IL BRUCO
John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
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Card n.3 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Ned Sparks e Charlotte Henry
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Tra i personaggi più enigmatici e affascinanti del Paese delle Meraviglie, il Bruco è forse quello che più incarna il mistero dell’identità. Seduto su un fungo, avvolto da spirali di fumo e da un’aria di superiorità languida, pone ad Alice la domanda più destabilizzante di tutte: “Chi sei tu?”
Nel film del 1933, a interpretarlo è Ned Sparks, attore canadese celebre per il suo volto impassibile e la voce nasale e monotona una scelta perfetta per dare al Bruco un tono ironico, distaccato, quasi provocatorio. Sparks non si limita a recitare: trasforma ogni parola in un enigma, ogni pausa in un giudizio silenzioso.
Ned Sparks
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Il costume è tra i più surreali del film: un corpo segmentato, con antenne tremolanti e una lunga pipa da cui escono volute di fumo artificiale. Il volto di Sparks è visibile solo in parte, incastonato in una maschera che lo fa sembrare più statua che creatura vivente. Eppure, proprio questa immobilità lo rende ipnotico: è il personaggio che non si muove, ma fa muovere tutto dentro Alice.
La scena è costruita come un piccolo teatro dell’assurdo: il Bruco parla per aforismi, si offende con eleganza, e infine si trasforma letteralmente lasciando dietro di sé solo un consiglio criptico e un’eco di fumo. È un momento sospeso, quasi onirico, che nel film assume una qualità visiva rarefatta, come se il tempo si fosse fermato.
Le immagini mostrano bene questa atmosfera: il fungo scenografico, la pipa, il costume segmentato e lo sguardo fisso. È Tenniel che incontra il teatro simbolista, con un tocco di cabaret surreale.
E forse è proprio questo il segreto del Bruco: non dà risposte, ma costringe a farsi domande. E in un mondo dove tutto cambia forma, lui è l’unico che sa già cosa diventerà.
IL CAPPELLAIO MATTO
John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
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Card n.40 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Edward Everett Horton
"Courtesy of the site doctormacro.com"
Nel film del 1933, il Cappellaio Matto prende vita grazie all’interpretazione indimenticabile di Edward Everett Horton, attore dalla comicità sofisticata e dall’ironia nervosa, perfetto per incarnare un uomo che non conosce il tempo, o forse lo conosce fin troppo bene. Horton, celebre per i suoi ruoli da gentleman surreale nella commedia americana, veste i panni del Cappellaio come se li avesse cuciti addosso con ago di nonsense e filo di teatro.
Il costume, ispirato fedelmente alle illustrazioni di John Tenniel, è tra i più riconoscibili dell’intera pellicola: un cappello a cilindro spropositato con l’ormai mitica etichetta “10/6” infilata nella tesa (che indicava il prezzo: dieci scellini e sei pence), una giacca abbondante e spiegazzata, un papillon fuori scala e occhi dipinti in modo da risultare sempre sgranati, perennemente in allerta. Eppure, sotto questa estetica grottesca, Horton riesce a creare un personaggio umanissimo: stralunato, logorroico, ma anche fragile, come chi recita per non crollare.

John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
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Card n.41 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
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Mad Hatter Edward Everett Horton with the March Hare Charles Ruggles & Charlotte Henry
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La scena del tè con la Lepre Marzolina e il Ghiro è un vero esercizio di nonsense coreografico: piattini che volano, domande senza risposta, risate fuori tempo massimo. E soprattutto quel momento sospeso in cui il tempo si ribella e smette di scorrere. Horton domina la scena come un direttore d’orchestra del caos, dando voce a un personaggio che non è solo comico, ma quasi inquietante, come se sapesse qualcosa che il resto del mondo ha dimenticato.
Ma prima ancora del cinema, prima delle maschere di cartapesta e delle battute assurde, il Cappellaio Matto potrebbe essere stato reale. E portava un nome singolare: Theophilus Carter.
Theophilus Carter (1894)
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Ebanista di Oxford, noto in città per la sua eccentricità e per il suo negozio traboccante di invenzioni improbabili, Carter passava le giornate in piedi sulla soglia, sempre con un cappello a cilindro ben calzato sulla nuca. Aveva l’aria di un personaggio da romanzo umoristico: alto, dinoccolato, con tratti marcati e un gusto per il bizzarro. Era conosciuto da tutti studenti, professori, bambini come “il Cappellaio Matto di Oxford”.
Non sappiamo con certezza se Lewis Carroll (che viveva e insegnava a pochi passi) l’abbia osservato con attenzione. Ma si racconta che John Tenniel, chiamato a illustrare il libro, abbia preso ispirazione proprio da Carter per disegnare la figura del Cappellaio: mento appuntito, naso aquilino, cilindro altissimo. Una somiglianza definita “inconfondibile” da più di un contemporaneo.
Le invenzioni di Carter rafforzano il legame con l’universo di Alice: il suo “letto-sveglia idraulico”, ad esempio, aveva lo scopo di catapultare letteralmente il dormiente fuori dal materasso all’ora stabilita. Una trovata perfettamente degna di un tè tra la lepre Marzolina e il Ghiro, più che di un catalogo tecnico vittoriano.

John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
Pinterest.com
Card n.35 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Il Cappellaio Matto non è solo un personaggio grottesco o un buffone da salotto dell’assurdo: è il riflesso distorto di un mondo che ha perso il controllo del proprio tempo, e forse anche del proprio senso. Che sia interpretato da Edward Everett Horton con gestualità febbrile e voce stonata di logica, o intravisto nelle fattezze eccentriche di Theophilus Carter sulle soglie di Oxford, il Cappellaio resta un simbolo liquido: muta con gli specchi, ma continua a guardarci dritto negli occhi.
Con il suo cilindro troppo alto e la lingua troppo sciolta, ci invita a sederci a un tavolo dove nessuno ha il ruolo che dovrebbe avere, e dove le regole esistono solo per essere riformulate a ogni sorso di tè. In un’epoca che corre veloce, lui è la voce che ci ricorda che forse è proprio nel fermarsi nell’indugiare, nel porre domande senza risposta che possiamo ritrovare un senso di meraviglia.
Nel suo eterno tè delle cinque, il Cappellaio non ci chiede di capire. Ci chiede di ascoltare. E, forse, di sorridere.
IL GATTO DEL CHESHIRE
John Tenniel`s original (1865) illustration for Lewis Carroll`s "Alice in Wonderland"
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Card n.35 - Alice in Wonderland -CARRERAS Ltd. (1930)
(collezione personale)
Richard Arlen & Charlotte Henry
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Nel caleidoscopico adattamento cinematografico del 1933, il Gatto del Cheshire è una delle apparizioni più misteriose e affascinanti. A differenza di altri personaggi, non ha un corpo che si muove in scena, né un costume teatrale da indossare: è una presenza fluttuante, un volto che appare tra i rami e svanisce lasciando dietro di sé solo un sorriso proprio come nelle illustrazioni di Tenniel.
A prestargli la voce fu Richard Arlen, attore noto per i suoi ruoli da protagonista nel cinema muto e nei primi anni del sonoro. Ma nel caso del Gatto, Arlen non compare fisicamente: la sua interpretazione è puramente vocale, e proprio per questo ancora più evocativa. Il suo tono è calmo, ironico, quasi ipnotico perfetto per un personaggio che non dà risposte, ma semina dubbi.
La rappresentazione visiva del Gatto fu un piccolo prodigio tecnico per l’epoca: una testa felina animata, probabilmente un pupazzo o una maschera meccanica, resa “fantasmatica” grazie a una sovrimpressione ottica. Gli occhi brillano, i baffi si muovono appena, e il sorriso quel celebre sorriso rimane sospeso anche dopo che il volto è svanito. È un effetto semplice ma potentissimo, che anticipa di decenni l’uso simbolico dell’invisibilità nel cinema fantastico.
Nel contesto del film, il Gatto compare brevemente ma lascia un’impronta indelebile. È lui a introdurre Alice e lo spettatore al concetto di follia come regola, non come eccezione. Le sue frasi sono ambigue, i suoi consigli sembrano più indovinelli che aiuti. Eppure, in quel mondo capovolto, è forse l’unico personaggio che sa esattamente cosa sta accadendo.
La scelta di affidare il ruolo a Richard Arlen fu curiosa e, in un certo senso, geniale: un attore noto per la sua presenza fisica, ridotto a voce e sorriso, diventa l’essenza stessa del Gatto un’idea più che un corpo, un concetto più che un personaggio.