L'ARTE DELLA CATASTROFE CONTROLLATA

LA Meccanica del Ridicolo

Lo slapstick è un sottogenere della commedia fisica che trova la sua essenza in un umorismo farsesco, basato sull’esagerazione del movimento e su una violenza stilizzata, plateale e del tutto innocua. È un universo parallelo in cui le leggi della fisica si piegano al volere della comicità: una buccia di banana può innescare un balletto di cadute, e gli oggetti inanimati sembrano cospirare contro l’uomo. A differenza di altre forme comiche, la sua grammatica non si fonda sul dialogo, ma sul linguaggio universale del corpo in lotta con un mondo ostile.
Il motore di questa comicità è la gag: una sequenza precisa di preparazione, anticipazione ed esecuzione catastrofica. La risata nasce spesso da un effetto a valanga, dove il tentativo maldestro di risolvere un problema banale  come appendere un quadro  scatena una reazione a catena di disastri sempre più grandi e imprevedibili, fino al caos totale. L’eroe dello slapstick è quasi sempre un outsider: un uomo comune o un emarginato la cui logica si scontra con quella del mondo, generando un cortocircuito comico. La sua virtù fondamentale è la resilienza: non importa quante volte cada, venga colpito o umiliato  si rialza sempre, pronto per il disastro successivo.
Il termine stesso deriva dal “battacchio” (slap stick in inglese), uno strumento della Commedia dell’Arte composto da due listelli di legno. Quando colpiva un attore, produceva un suono forte ed esagerato (“slap”) senza causare dolore reale. Questo oggetto incarna la formula del genere: una netta dissociazione tra la violenza apparente e l’assenza di conseguenze. Si stabilisce così un contratto implicito con lo spettatore, che sa di assistere a una finzione e può ridere liberamente del dolore altrui, trasformando la tragedia potenziale in una liberatoria esplosione di ilarità.

IL BATACCHIO

 Origini e Funzione

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Batacchio (strumento scenico della commedia dell’arte)

Il batacchio è indissolubilmente legato alla figura di Arlecchino, la maschera bergamasca resa celebre da Tristano Martinelli (1557–1630), considerato il primo interprete codificato del personaggio. Arlecchino è un servo agile, scaltro e affamato, che comunica più con il corpo che con le parole. Le sue gag fisiche  salti, capriole, inseguimenti  sono spesso accompagnate da colpi di batacchio, che scandiscono il ritmo della scena e amplificano la comicità. Il segreto del batacchio è tutto nel suono. Il pubblico, sentendo il colpo, reagisce con una risata istintiva, ma sa che nessuno si è fatto male. Si crea così un contratto implicito tra attore e spettatore: la violenza è simulata, il dolore è sospeso, la risata è permessa. Questo principio sarà alla base di tutto il genere slapstick, che nel Novecento trasformerà il batacchio in torte in faccia, cadute rovinose e oggetti ribelli. Il termine slapstick nasce proprio dalla traduzione inglese del batacchio. Quando le compagnie italiane portano la commedia dell’arte in Europa  in Francia, Inghilterra, Spagna  il batacchio diventa un simbolo della comicità fisica. In Inghilterra, il nome slap stick viene adottato per indicare quel tipo di umorismo basato su colpi esagerati e reazioni sproporzionate. È l’inizio di una genealogia comica che porterà, secoli dopo, a Chaplin, Keaton, Stanlio e Ollio. Il batacchio non è solo un oggetto scenico: è un principio estetico. Rappresenta la dissociazione tra gesto e conseguenza, tra realtà e finzione, tra dolore e risata. È il cuore della comicità fisica, dove il corpo diventa linguaggio e il suono diventa significato. Ancora oggi, nei teatri e nei set comici, il suo spirito sopravvive in ogni gag che fa ridere senza ferire.

Se la commedia dell’arte ha codificato la grammatica del gesto comico, è nel circo ottocentesco che questa grammatica si espande, si raffina e si spettacolarizza. Il circo diventa il luogo dove il corpo non solo comunica, ma sfida i limiti della fisica, proprio come accadeva nel mondo di Arlecchino. Le cadute, gli schiaffi e le acrobazie non sono più solo finzione teatrale: diventano virtuosismo tecnico, esibizione di controllo e rischio. Il circo, in questo senso, è un pre-cinema: uno spazio dove la comicità visiva si sperimenta dal vivo, davanti a un pubblico che reagisce in tempo reale. Le gag circensi sono modulari, ripetibili, esportabili  proprio come le gag cinematografiche. Quando il cinema muto nasce, eredita direttamente questa struttura: la gag diventa inquadratura, il ritmo diventa montaggio, il gesto diventa linguaggio universale.

I FRATELLINIS

Maestri della Gag Circense

Card posizione 2 pag. 35 

JOSETTI FILM ALBUM N°3

(collezione personale)

Tra i protagonisti di questa evoluzione ci sono i Tre Fratellinis Paul, François e Albert clown francesi di origini italiane, attivi tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. La loro comicità si fonda su una coreografia del caos: gag fisiche, inseguimenti, colpi esagerati e reazioni sproporzionate. La dinamica tra il clown bianco (Paul) e l’augusto (François) richiama quella tra il padrone e il servo della commedia dell’arte, ma con una nuova energia visiva e ritmica.
Albert, il terzo fratello, funge spesso da mediatore, da elemento destabilizzante o da detonatore comico. Il trio costruisce scene dove il gesto è tutto: nessuna parola, solo ritmo, sorpresa e collisione. Il loro lavoro anticipa chiaramente le logiche del cinema slapstick, dove la gag è una sequenza di causa-effetto che culmina nel disastro.

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I Fratellini. Illustrazione di Herman Moerkerk per Katholieke Illustratie, 1937

La storia dei Fratellinis è quella di una dinastia artistica che ha attraversato generazioni, palcoscenici e tendoni, lasciando un’impronta indelebile nella cultura circense europea. I tre fratelli Paul, François e Albert sono stati tra i clown più celebri e influenti del Novecento, capaci di trasformare la comicità fisica in una forma d’arte raffinata e universale.
Di origini italiane, la famiglia Fratellini affonda le sue radici nel XVIII secolo, ma è con Enrico Gaspero Fratellini, detto Gustavo, patriota garibaldino e acrobata, che la vocazione circense prende forma. I suoi figli, nati tra Firenze, Parigi e Mosca, ereditarono il talento e la passione per il circo. Dopo la morte del primogenito Luigi nel 1909, Paul, François e Albert si unirono in un trio che avrebbe conquistato l’Europa.

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I Fratellini durante una passeggiata invernale a Berlino nel 1927

Il loro debutto avvenne al Zirkus Busch di Berlino, e da lì iniziarono a girare il continente: San Pietroburgo, Budapest, Mosca, Parigi. Nel 1915 si stabilirono al Circo Medrano, vicino al Moulin Rouge, dove rimasero per quasi un decennio. Le loro entrées  veri e propri sketch teatrali  potevano durare fino a quarantacinque minuti, costruite con una precisione ritmica e narrativa che le rendeva irresistibili. Non si trattava più di semplici gag: era teatro comico, coreografia del gesto, poesia del corpo.

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Albert, François et Paul Fratellini.

Paul interpretava il clown bianco, elegante e autoritario, François era il clown triste, malinconico e raffinato, mentre Albert incarnava l’augusto folle, caotico e imprevedibile. Insieme, creavano una dinamica comica perfetta, dove l’ordine veniva sabotato dalla poesia e distrutto dal disastro. La loro comicità non aveva bisogno di parole: bastavano uno sguardo, un gesto, una caduta. Il pubblico rideva, ma anche si commuoveva. Erano clown, sì, ma anche attori, poeti, filosofi del corpo.
Il successo fu travolgente. 

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François, Paul und Albert Fratellini. Cirque d’Hiver (1925)

Parigi li adorava. Intellettuali e artisti come Jean Cocteau, Raymond Radiguet, Charles Dullin e Jacques Copeau li consideravano maestri. Cocteau scrisse per loro la farsa Le Bœuf sur le toit, con musiche di Darius Milhaud e scene di Raoul Dufy. Radiguet ambientò una scena del suo romanzo Le Bal du comte d’Orgel nel loro camerino. I Fratellinis non erano solo comici: erano icone culturali, protagonisti di manifesti, dischi, libri, oggetti da collezione.
La loro comicità, pur nata nel tendone del circo e non sul set cinematografico, anticipava in modo sorprendente il linguaggio visivo che avrebbe dominato il cinema comico muto. Le loro entrées, costruite con precisione ritmica e gestuale, erano vere e proprie sequenze di gag fisiche, dove il corpo diventava il protagonista assoluto. In questo senso, il trio non solo influenzò il teatro e il circo, ma contribuì a definire le basi di quella che, di lì a poco, sarebbe diventata la slapstick comedy.
Il termine slapstick, come noto, deriva dal batacchio della commedia dell’arte  lo stesso strumento che Arlecchino impugnava per simulare colpi rumorosi e innocui. Nel cinema, questa filosofia si tradusse in una comicità basata su cadute, inseguimenti, torte in faccia e oggetti ribelli. Ma ciò che rende il collegamento con i Fratellinis così evidente è la struttura stessa della gag: una sequenza di causa-effetto, una tensione che cresce fino al disastro, e poi si dissolve nella risata.
I grandi comici del muto da Chaplin a Keaton, da Harold Lloyd a Larry Semon  costruirono le loro scene proprio come i Fratellinis costruivano le loro entrées: con una logica interna, una progressione narrativa e una coreografia del caos. Il gesto comico, nel cinema slapstick, non è mai gratuito: è sempre il frutto di una tensione tra l’individuo e il mondo che lo circonda. Ed è esattamente ciò che accadeva sotto il tendone, quando Albert, François e Paul si scontravano con scale, sedie, cavalli e strumenti musicali, trasformando ogni oggetto in un complice della risata.

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Trio Fratellini: Albert, François e Paul (1932 a Berlino)

In definitiva, i Fratellinis non furono solo clown: furono precursori del linguaggio slapstick, ma con una profondità teatrale e una sensibilità poetica che il cinema, pur nella sua genialità, raramente ha eguagliato. La loro arte vive ancora oggi, non solo nei tendoni e nei teatri, ma anche in ogni scena comica dove il corpo inciampa, resiste e fa ridere senza mai smettere di raccontare.

Nel 1930, la serie Hill Music Hall Celebrities Past and Present immortalava in 30 cards i volti di un’epoca comica in trasformazione. Tra cantanti, mimi, clown e attori, emergeva una costellazione di artisti che avevano reso il music hall britannico un laboratorio di comicità fisica, gestuale, esagerata. In una parola: slapstick.
Ma tra tutti, una coppia spicca per il suo ruolo di cerniera storica: gli Egbert Bros, duo comico che incarnava il passaggio dal palcoscenico al set, dalla gag teatrale alla sequenza filmica.

Card n.18  MUSIC HALL CELEBRITIES - PAST & PRESENT - FIRST SERIES 

R. & J. HILL (1939)

(collezione personale)

Gli Egbert Bros, Coreografi del Caos

Seth e Albert Egbert erano noti per sketch come The Happy Dustmen, dove il ritmo era scandito da battute ricorrenti e movimenti sincronizzati. La loro comicità non era solo fisica: era coreografata, quasi musicale. In scena, ogni gesto era parte di una partitura comica, dove la caduta non era mai casuale, ma il culmine di una tensione costruita.
Nel 1916, durante una produzione di Cinderella al London Opera House, parteciparono alla celebre “whitewashing scene”, una sequenza slapstick che anticipava le logiche del cinema muto: preparazione, escalation, disastro, risata.

Dal Vaudeville al Cinema

Gli Egbert Bros non furono soli. Nella stessa serie figurano altri protagonisti di questo passaggio epocale:

  • Little Tich – il suo “Big Boot Dance” è slapstick puro.

Card n.6  MUSIC HALL CELEBRITIES - PAST & PRESENT - FIRST 

SERIES R. & J. HILL (1939)

(collezione personale)

  • Dan Leno – maestro della pantomima e delle gag grottesche.

Card n.6  MUSIC HALL CELEBRITIES - PAST & PRESENT - FIRST SERIES 

R. & J. HILL (1939)

(collezione personale)

  • Will Hay, Stanley Lupino, Max Wall – interpreti che portarono la comicità fisica sullo schermo.

Cards n.3,7 e 19   MUSIC HALL CELEBRITIES - PAST & PRESENT - FIRST SERIES 

R. & J. HILL (1939)

(collezione personale)

  • Jack Pleasants, Charles Austin – buffoni scenici con forte mimica e ritmo.

Cards n.11 e 12   MUSIC HALL CELEBRITIES - PAST & PRESENT - FIRST SERIES 

R. & J. HILL (1939)

(collezione personale)

Questi artisti, nati nel vaudeville, hanno traghettato la comicità verso il cinema, trasformando il gesto teatrale in linguaggio visivo. Il loro lavoro è il ponte tra il batacchio di Arlecchino e la torta in faccia di Chaplin.

Il primo film slapstick della storia non è facile da individuare con precisione assoluta, ma possiamo dire che il genere nasce nei primi anni del Novecento, grazie alla casa di produzione francese Pathé, che fu pioniera nella creazione di cortometraggi comici basati su gag visive. Tra i primi interpreti troviamo André Deed, noto in Italia come Cretinetti, Marcel Fabre (Robinet) e Ferdinand Guillaume, alias Polidor. Questi attori, spesso acrobati e mimi, portano sullo schermo la tradizione del gesto comico teatrale, trasformandola in linguaggio cinematografico.

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L'Arroseur Arrosé (1895)

Uno dei primissimi esempi riconosciuti di slapstick è "L'Arroseur arrosé" (1895) dei fratelli Lumière. È un brevissimo film di pochi secondi, in cui un giardiniere viene spruzzato d’acqua da un ragazzino dispettoso. La gag è semplice, ma già contiene gli elementi fondanti del genere: sorpresa, gesto, reazione esagerata. È considerato da molti il primo film comico della storia, e già racchiude in forma embrionale gli elementi che daranno vita al genere slapstick.

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André Deed nel 1910

Ma è con André Deed che la comicità slapstick prende forma e diventa linguaggio. Nato a Le Havre nel 1879, Deed fu acrobata, cantante e attore teatrale prima di entrare nel mondo del cinema grazie a Georges Méliès. Dopo alcuni ruoli secondari, nel 1906 crea il personaggio di Boireau, che in Italia diventerà Cretinetti: un uomo goffo, impulsivo, vittima del mondo che lo circonda, sempre in lotta con oggetti ribelli, scale instabili, porte che non si aprono e sedie che crollano.
Deed fu il primo comico cinematografico a costruire una serie di cortometraggi slapstick, con una struttura narrativa ricorrente e un personaggio fisso. 

Tra il 1909 e il 1911, per la Itala Film di Torino, interpreta oltre 90 film muti nel ruolo di Cretinetti, diventando una vera e propria star internazionale. Il suo stile è frenetico, fisico, esagerato, ogni gesto è amplificato, ogni caduta è una sinfonia di disastri. Ma dietro la goffaggine c’è una precisione ritmica e una consapevolezza scenica che derivano dal teatro e dal circo.
Nel 1921 firma L’uomo meccanico, uno dei primi film di fantascienza italiani, dove un robot impazzito semina il caos. Anche qui, la comicità slapstick si intreccia con il fantastico, dimostrando la versatilità del gesto comico.

Card n.18 Serie A (anonima Spagna)

Deed non è solo un attore: è regista, sceneggiatore, inventore di gag. Il suo personaggio attraversa le culture  in Francia è Boireau, in Spagna Toribio, in Russia Glupyuskin  e diventa archetipo del comico universale.
Se Chaplin è il poeta del gesto, Deed è il suo pioniere. Prima di Keaton, prima di Lloyd, prima di Laurel and Hardy, c’era Cretinetti, l’uomo che inciampa, cade, si rialza, e fa ridere il mondo intero.

Nel panorama del cinema muto europeo, pochi nomi brillano con la stessa intensità di Ferdinand Guillaume e Marcel Fabre. Entrambi provenienti dal mondo del circo e del teatro popolare, furono tra i primi a intuire le potenzialità comiche del nuovo mezzo cinematografico, trasformando il gesto fisico in linguaggio visivo e creando personaggi che avrebbero influenzato generazioni di comici.

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Ferdinand Guillaume (Polidor)

Ferdinand Guillaume, nato a Bayonne nel 1887 e naturalizzato italiano, proveniva da una famiglia circense di lunga tradizione. Dopo aver calcato le piste con il fratello Natale, fu notato nel 1908 da produttori cinematografici romani e nel 1910 entrò nella Cines, dove creò il personaggio di Tontolini. In poco più di un anno girò oltre cento comiche, conquistando il pubblico con la sua espressività facciale, la fisicità buffa e i suoi funambolismi. Ma fu con il personaggio di Polidor, nato nel 1912 per la Pasquali Film di Torino, che Guillaume raggiunse la notorietà internazionale: i suoi film vennero distribuiti in tutta Europa e persino in America. Polidor era un clown cinematografico, un uomo in lotta con il mondo, sempre vittima di oggetti ribelli e situazioni assurde. La sua comicità, pur radicata nel circo, si adattava perfettamente al ritmo e al linguaggio del cinema.

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Marcel Fabre (Robinet)

Parallelamente, Marcel Fabre, nato a Madrid nel 1884, iniziò la sua carriera come acrobata e clown, per poi approdare al cinema in Francia come comparsa. Nel 1910 fu ingaggiato dalla Ambrosio Film di Torino, dove creò il personaggio di Robinet, protagonista di una lunga serie di comiche che lo resero celebre. Robinet era un uomo elegante, ma eternamente goffo, coinvolto in situazioni paradossali e disastri domestici. Fabre non fu solo attore: fu anche regista e sceneggiatore, collaborando con artisti come Gigetta Morano e Ernesto Vaser. La sua comicità era più teatrale, più costruita, ma sempre basata sul gesto e sul ritmo. Dopo il successo italiano, Fabre emigrò negli Stati Uniti, dove tentò di reinventare Robinet sotto il nome di Tweedy, recitando persino accanto a un giovane Oliver Hardy.
Guillaume e Fabre rappresentano due anime della comicità slapstick: il primo più fisico, più circense, il secondo più narrativo e teatrale. Entrambi hanno contribuito a definire il comico seriale cinematografico, anticipando le dinamiche che troveremo in Chaplin, Keaton, Laurel & Hardy. I loro personaggi  Tontolini, Polidor, Robinet  sono archetipi del gesto comico, figure universali che parlano senza parole e fanno ridere con il corpo.
Oggi, il loro lavoro è riscoperto e valorizzato da cineteche e studiosi, ma merita ancora di più: un posto centrale nella storia del cinema, come padri fondatori della risata filmica.

A questa genealogia si inserisce con eleganza e forza Max Linder, il primo vero divo comico del cinema mondiale. Se Guillaume e Fabre portano in scena il corpo che inciampa, Linder introduce il corpo che resiste con stile: il suo personaggio di “Max”, impeccabile nel cilindro e nei guanti bianchi, è il borghese elegante che cerca di mantenere la dignità mentre tutto intorno a lui precipita.

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Charlie Chaplin & Max Linder (1917)

La sua comicità, più sottile e psicologica, anticipa quella di Chaplin, che non a caso lo definì “il mio professore”.
Linder non solo codifica il gesto comico in chiave cinematografica, ma lo trasforma in linguaggio narrativo, creando il primo personaggio ricorrente della storia del cinema. Con lui, la gag non è più solo una sequenza di cadute, diventa racconto, ritmo, carattere. Max Linder non è soltanto il ponte tra due mondi comici, è il primo architetto della risata cinematografica consapevole. Nato in Francia nel 1883, con il nome di Gabriel-Maximilien Leuvielle, Linder si forma nel teatro classico, recitando Molière e Musset, ma è nel cinema che trova la sua vera vocazione. Quando entra negli studi Pathé nel 1905, il mezzo è ancora giovane, e la comicità è dominata da gag semplici e slapstick frenetico. Linder cambia tutto: crea un personaggio  “Max”  che non è una caricatura, ma un uomo riconoscibile, elegante, vulnerabile. Un borghese raffinato che inciampa, si innamora, si arrabbia, si dispera, ma sempre con grazia.
Il suo stile è rivoluzionario. Dove altri comici si affidano alla sorpresa e alla caduta, Linder costruisce una grammatica del gesto, fatta di tempi comici perfetti, espressioni misurate, e una narrazione che si sviluppa attraverso il corpo. I suoi film non sono solo comiche: sono piccoli racconti morali, dove il protagonista cerca di mantenere il controllo in un mondo che lo destabilizza. In Max prend un bain, Max et la doctoresse, Max virtuoso, ogni situazione è un pretesto per esplorare il rapporto tra individuo e società, tra desiderio e disastro.
Linder è anche il primo a comprendere il potenziale del personaggio seriale: “Max” ritorna di film in film, creando un legame con il pubblico, una familiarità che anticipa i grandi protagonisti del cinema moderno. È il primo attore a godere di una fama internazionale: in Russia, in Spagna, in Germania, il suo nome è sinonimo di comicità raffinata. Persino il giovane Chaplin, che lo ammirava profondamente, gli scrisse una dedica: “A Max, il professore, dal suo discepolo Charlie Chaplin.”

Card n.24 - Film Stars
Julio Mailhos, Crack Cigarrillos Uruguay (1929)

Ma la sua parabola è anche tragica. Dopo il successo europeo, Linder tenta la fortuna negli Stati Uniti, dove gira film come Seven Years Bad Luck e Be My Wife. Nonostante la qualità, il pubblico americano già conquistato da Chaplin non lo accoglie con lo stesso entusiasmo. Linder soffre, si ritira, combatte con la depressione. Il suo ultimo film, The King of the Circus, è una struggente riflessione sul mestiere del comico e sulla solitudine dell’artista.
La sua morte, nel 1925, in circostanze drammatiche, chiude una stagione irripetibile del cinema. Ma la sua eredità è immensa. Max Linder ha insegnato che la comicità non è solo caduta, ma anche resistenza, eleganza, profondità. Ha aperto la strada a Chaplin, Keaton, e a tutti coloro che hanno fatto del gesto un linguaggio universale.
Oggi, i suoi film restaurati tornano a far sorridere e pensare. E il suo nome, per troppo tempo dimenticato, risplende di nuovo come quello di un vero maestro del cinema.


Il Volto Bianco della Comicità

Cartolina postale - G. Vettori Bologna

(collezione personale)

In Italia lo chiamavano Ridolini. Bastava quel nome per evocare una risata, una corsa, una caduta, una nuvola di farina. Ridolini non era solo un comico: era una tempesta visiva, un acrobata del disastro, un clown cinematografico che portava sullo schermo la grammatica del gesto comico con una potenza travolgente.

Card n.78 CINEMA STARS

GALLAHER Ltd (1926)

(collezione personale)

Il suo vero nome era Larry Semon, nato nel 1889 a West Point, Mississippi, figlio di un illusionista del vaudeville. Cresciuto tra palcoscenici e trucchi, sviluppò fin da giovane una passione per il disegno umoristico: prima di diventare attore, fu cartoonist per diversi giornali. E questo si vede chiaramente nei suoi film, che sembrano cartoni animati in carne e ossa, dove la fisica è sospesa e ogni oggetto può diventare protagonista di una gag.
Nel 1916 viene assunto dalla Vitagraph come sceneggiatore, ma il suo talento davanti alla macchina da presa è troppo evidente per restare dietro le quinte. I suoi cortometraggi diventano esplosioni di energia: gag a raffica, inseguimenti frenetici, acrobazie impossibili. La sua maschera  faccia infarinata, pantaloni a vita altissima, sguardo stupito  richiama il clown circense, ma con una velocità cinematografica che lo rende unico. Ridolini non si limita a far ridere: travolge lo spettatore con una comicità fisica che non concede tregua. Le sue comiche sono costruite come sequenze di caos crescente, dove ogni gesto scatena una reazione a catena di disastri. Il suo corpo è sempre in movimento, in tensione, in sfida con lo spazio. Non c’è mai staticità, mai pausa: tutto corre, tutto inciampa, tutto esplode.

Striscia Comica n.18 del 15 novembre 1948

In Italia, il pubblico lo adora. Il nome “Ridolini” diventa sinonimo di comicità slapstick. Le sue comiche vengono distribuite ovunque, e il suo stile influenza persino i fumetti: il personaggio di Ridolini diventa protagonista di strisce e albi illustrati, con un successo che travalica il cinema. È uno dei pochi comici americani ad avere una vera e propria identità nazionale alternativa: Ridolini è italiano, nel cuore e nella risata degli spettatori. E questo non è un caso. La sua comicità, pur americana nella scala e nel ritmo, ha radici europee: richiama Cretinetti (André Deed), Polidor (Ferdinand Guillaume), Robinet (Marcel Fabre), e persino Max Linder. Ma Ridolini aggiunge qualcosa di nuovo: l’eccesso, la velocità, la gag forsennata. Nei suoi film, tutto può succedere e succede. Il mondo è un campo di battaglia comico, e lui è il soldato che non si arrende mai.

Card n.45 CINEMA STARS

RINGER'S CIGARETTES (1923)

(collezione personale)

La sua filmografia è vasta e frenetica. Tra i titoli più celebri troviamo “The Bell Hop” (1921), “The Sawmill” (1922), “The Show” (1922), “Kid Speed” (1924), “The Wizard of Oz” (1925), dove interpreta il protagonista in una versione slapstick del classico di Baum. Ogni film è una dimostrazione di virtuosismo fisico, ma anche di costruzione scenica: Ridolini non si accontenta di una gag, ne costruisce decine, incastrate come meccanismi di precisione. 

E proprio nel 1924, in uno dei suoi ultimi lavori, Ridolini condivide il set con Oliver Hardy nel cortometraggio Her Boyfriend. Il film, prodotto da I.E. Chadwick dopo il fallimento della Vitagraph, è una commedia slapstick che mostra entrambi gli attori in piena forma, tra equivoci, inseguimenti e gag visive. Hardy, ancora lontano dalla celebrità che lo attende con Laurel, è qui un antagonista caricaturale comprimario perfetto: massiccio, espressivo, capace di amplificare il ritmo forsennato di Ridolini. È una testimonianza preziosa di come il mondo della comicità muta fosse una rete di collaborazioni, di incontri, di incroci tra stili e personalità.

Le sue scenografie sono spesso gigantesche, con scale, impalcature, treni, mulini, ponti sospesi. Il set diventa un personaggio, un complice della comicità. E il suo corpo, agile e instancabile, si muove come un acrobata, sfidando la gravità e il buon senso.
Ma dietro il successo, c’è anche la fragilità. Larry Semon investe enormi somme nei suoi film, spesso autofinanziandosi, e le sue ambizioni produttive lo portano a scelte rischiose. I suoi set diventano sempre più costosi, le sue gag sempre più elaborate, ma il mercato cambia, il pubblico si sposta, e la concorrenza cresce. Chaplin e Keaton dominano la scena, e Ridolini, pur amato, fatica a mantenere il ritmo. Problemi finanziari, tensioni con gli studios, e una salute precaria lo portano a ritirarsi. Muore nel 1928, a soli 39 anni, lasciando dietro di sé una scia di risate, di cadute, di gesti che ancora oggi fanno sorridere.
La sua eredità vive soprattutto in Italia, dove Ridolini è rimasto nel cuore di generazioni di spettatori. Non è solo un nome: è un modo di ridere. Un gesto, una corsa, una caduta  e poi di nuovo in piedi, pronto a ricominciare. Ridolini è il clown che non si arrende, l’uomo che trasforma il disastro in poesia, la maschera che ci ricorda che, anche quando tutto crolla, si può sempre ridere. E forse, proprio per questo, merita di essere raccontato, ricordato, celebrato. Perché il suo cinema non è solo comicità: è resistenza, è energia, è arte del movimento. E ogni figurina che lo ritrae è una piccola finestra su quel mondo dove il corpo parla, inciampa, si rialza e fa ridere il mondo intero.

Lo slapstick americano non nasce dal nulla. È figlio del vaudeville, del circo, della commedia dell’arte esportata in valigia dagli attori europei. Negli Stati Uniti, la comicità fisica trova terreno fertile: palcoscenici affollati, pubblico eterogeneo, fame di risate. Il gesto diventa spettacolo, la caduta diventa coreografia.
Nel cuore di questo fermento, Fred Karno, impresario britannico, crea sketch senza parole, basati solo su mimica e ritmo. È lui a scoprire due giovani talenti: Charlie Chaplin e Stan Laurel, che porteranno il gesto comico oltre l’Atlantico.

Dalle radici europee al mito di Chaplin e Keaton

Le radici dello slapstick americano affondano in una tradizione molto più antica, fatta di palcoscenici popolari, clown di circo e maschere della commedia dell’arte. La commedia dell’arte italiana aveva già codificato il linguaggio del corpo, trasformando la caduta, lo schiaffo e l’inciampo in strumenti teatrali capaci di parlare a tutti, al di là delle parole. Il circo ottocentesco aveva poi raffinato questa grammatica del gesto, portando in scena clown e acrobati che facevano della goffaggine una forma d’arte. Quando queste tradizioni attraversano l’Atlantico, trovano negli Stati Uniti un terreno fertile: i palcoscenici del vaudeville, affollati e popolari, diventano il laboratorio ideale per una comicità fisica che non ha bisogno di traduzioni. In un paese di immigrati, dove le lingue si mescolano e spesso non si comprendono, il gesto diventa spettacolo universale, la caduta diventa coreografia condivisa.

Fred Karno

In questo contesto si inserisce la figura di Fred Karno, impresario britannico che rivoluzionò il teatro comico. Nei suoi sketch eliminò quasi del tutto la parola, puntando su mimica, ritmo e tempi perfetti. Le sue compagnie itineranti misero in scena pantomime moderne, dove la risata nasceva da un inciampo, da uno sguardo, da un colpo di scena improvviso. Karno non fu solo un impresario, ma un vero regista del silenzio, capace di insegnare ai suoi attori la precisione del gesto e la musicalità della caduta. È proprio sotto la sua guida che due giovani talenti, Charlie Chaplin e Stan Laurel, impararono l’arte del corpo comico.
Quando Chaplin approda in America nel 1913, porta con sé questa scuola. L’anno successivo, nel 1914, nasce Charlot: il vagabondo elegante con bombetta e bastone, figura fragile e resiliente al tempo stesso. Chaplin trasforma lo slapstick in poesia sociale: ogni caduta diventa un atto di resistenza, ogni torta in faccia una sfida al potere, ogni gesto un linguaggio universale che commuove e diverte. Stan Laurel, suo compagno di tournée, seguirà un percorso diverso ma parallelo, trovando la consacrazione accanto a Oliver Hardy. Insieme daranno vita a un duo che riprende la lezione di Karno e la amplifica, costruendo gag infantili e coreografiche che diventeranno patrimonio della cultura popolare.
Lo slapstick americano nasce dunque da un intreccio di tradizioni europee e palcoscenici americani, da un circo che diventa celluloide e da un teatro che si trasforma in cinema. È un linguaggio universale che attraversa oceani e culture, e che trova in Chaplin e Keaton i suoi due poli opposti e complementari: il primo poeta del gesto, il secondo architetto del caos. Insieme, hanno reso immortale l’arte della caduta.

Charlie Chaplin

L’inizio di uno stile che cambiò il cinema

Chaplin non inventa la comicità fisica, ma la reinventa. Nei primi cortometraggi girati per la Keystone Studios, il suo stile si distingue subito: non è frenesia, ma precisione. Non è solo gag, ma racconto. Il suo personaggio nasce quasi per caso: un vagabondo elegante, con bombetta, bastone e baffetti. Ma dietro quella maschera c’è un pensiero profondo. Charlot è un outsider, un uomo che inciampa ma non cade mai davvero. Ogni torta in faccia è una sfida al potere, ogni fuga è una danza.

Card n.4 PERSONALITIES OF TO-DAY - GODFREY PHILLIPS Ltd (1932)

(collezione personale)

Analisi dello Stile Slapstick di Chaplin nell'Era Keystone (1914)

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

L'anno 1914 rappresenta un periodo fondamentale e formativo nella carriera di Charles Chaplin. Sebbene i trentacinque cortometraggi realizzati in quei dodici mesi non costituiscano l'apice della sua arte, il suo anno di apprendistato presso gli studi Keystone di Mack Sennett fu il crogiolo in cui un genio imparò il linguaggio del cinema. Fu qui che Chaplin forgiò la sua maschera iconica, definì la grammatica del suo personaggio e gettò le fondamenta del suo inimitabile stile comico. Partendo dal caotico e frenetico slapstick che dominava l'epoca, iniziò un percorso che lo avrebbe portato a trascendere il genere, arricchendolo di sfumature e complessità ancora inedite. Per comprendere appieno la portata della sua innovazione, è essenziale analizzare il contesto artistico e produttivo degli studi Keystone in cui si trovò a operare.

Mack Sennett e la Fabbrica della Comicità Keystone

Mack Sennett dietro la cinepresa (1918) - Wikipedia

Considerato a ragione il "padre della commedia cinematografica americana", Mack Sennett aveva definito lo standard dello slapstick ben prima dell'arrivo di Chaplin. Lo stile Keystone, con il suo ritmo indiavolato e la sua comicità fisica, era il punto di riferimento del genere. Comprendere questo contesto è cruciale per poter valutare l'impatto e l'originalità che Chaplin seppe imprimere a un modello comico già consolidato e di enorme successo.

• I principi della comicità di Mack Sennett si basavano su una miscela esplosiva di azione sfrenata, slapstick, gioco sul disastro fisico, nonsense ispirato e burlesque di ogni convenzione. Questo approccio dava vita a un caos meticolosamente orchestrato, il cui unico scopo era la risata fragorosa del pubblico. Elementi iconici di questo stile, come le rocambolesche disavventure dei "Keystone Kops" o il celebre "lancio della torta di crema pasticcera", divennero archetipi della comicità cinematografica, simboli di un umorismo visivo, diretto e universalmente comprensibile.

• Nonostante l'apparente anarchia delle sue farse, Sennett era un regista tecnicamente preparato, che applicava con maestria le lezioni apprese dal pioniere del cinema D.W. Griffith. Il ritmo frenetico delle commedie Keystone era il risultato di un uso sapiente e innovativo del montaggio e della messa in scena. Tra le tecniche che contribuivano a creare l'impatto visivo e la velocità narrativa si annoverano: Frequenti cambi di inquadratura per dinamizzare l'azione, primi piani inseriti per enfatizzare espressioni e dettagli comici, scene brevi per mantenere un ritmo incalzante, "Cut-back" e azione parallela per costruire la suspense e l'attesa della gag finale, spesso un inseguimento o una rissa generale.

• Al suo arrivo alla Keystone, Chaplin si trovò a competere con un gruppo di comici affermati che dominavano la scena. Tra questi spiccavano Ford Sterling, il cui stile era l'epitome della recitazione Keystone, la vivace e talentuosa Mabel Normand, e il corpulento Fatty Arbuckle. Il modello recitativo prevalente era fondato su "movimenti e gesti esagerati e frettolosi", un paradigma di fisicità esasperata con cui il giovane attore inglese dovette inizialmente confrontarsi e scontrarsi. Questo era l'ambiente, strutturato secondo regole precise di ritmo e performance, in cui Chaplin mosse i suoi primi passi. Un palcoscenico che egli seppe prima assimilare e poi, inesorabilmente, trasformare.

L'Integrazione e l'Innovazione di Chaplin

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

L'arrivo di Chaplin alla Keystone non fu un successo immediato, ma un graduale processo di scontro, adattamento e infine di sintesi creativa. La sua formazione teatrale, basata su un'attenta pantomima e un ritmo più studiato, si scontrò con il modello frenetico imposto da Sennett. Fu solo attraverso la fusione di queste due visioni che Chaplin riuscì a creare uno stile unico, capace di integrare la sua arte personale all'interno della grammatica cinematografica Keystone.

• Le prime difficoltà di Chaplin nacquero dal conflitto con il regista Henry Lehrman, che tentava di imporgli lo "stile frenetico Keystone". Chaplin, al contrario, desiderava un "ritmo più lento e deliberato", più adatto alle sottigliezze della sua pantomima. Tali difficoltà derivavano anche dalla sua scarsa familiarità con la tecnica cinematografica: Chaplin non comprendeva ancora la "geografia filmica", il "tempo filmico" e il montaggio. Lo scontro fu inevitabile, tanto da far temere a Sennett di aver ingaggiato un "limone". Tuttavia, una volta ottenuta la piena libertà creativa a partire dal suo tredicesimo film, "Caught in the Rain", Chaplin dimostrò di saper fondere magistralmente la sua profonda conoscenza della pantomima teatrale con il metodo cinematografico di Sennett, creando una sintesi stilistica di straordinaria efficacia.

Card n.19 BERGMANNS - BUNTE - BÜCHER 1 (1932)

(collezione personale)

• L'iconico costume del Vagabondo nacque quasi per caso, assemblato per il film "Kid Auto Races at Venice" con elementi presi in prestito dai colleghi. I suoi componenti divennero leggendari: I pantaloni larghi di Fatty Arbuckle. La giacca stretta. La bombetta troppo piccola. Le scarpe grandi di Ford Sterling. I baffetti di Mack Swain. L'inseparabile bastone di bambù.

• Tuttavia, è fondamentale sottolineare un punto critico: in questa fase iniziale, il personaggio era "fondamentalmente antipatico". Il Vagabondo dei film Keystone era un "imbroglione, un mascalzone, un fastidioso pasticcione, un ladro, un ubriacone odioso". Non era ancora emerso il "Charlie" compassionevole e patetico che avrebbe conquistato il mondo negli anni successivi, a partire dal suo periodo alla Essanay. Definito l'aspetto esteriore e trovato un equilibrio stilistico, Chaplin iniziò a sviluppare un vocabolario di slapstick personale e riconoscibile, gettando le basi per una comicità più strutturata e autoriale.

Decostruzione dello Slapstick Keystone di Chaplin

Card n.305 - DAS ORAMI ALBUM DRITTE SERIE (1932)

(collezione personale)

Pur operando all'interno delle convenzioni imposte da Mack Sennett, Chaplin sviluppò fin dal suo primo anno un repertorio di gesti, gag e situazioni che portavano la sua firma inconfondibile. L'analisi di questi elementi specifici rivela come egli stesse già personalizzando e arricchendo il linguaggio dello slapstick, trasformandolo in uno strumento espressivo unico.

• In linea con lo stile Keystone, la violenza fisica era un elemento comico primario e onnipresente. I film di Chaplin del 1914 sono costellati di "vere e proprie risse, con mattoni e mazzuoli, calci e punture di spillo". Un esempio emblematico di questa comicità brutale si trova in "The Property Man", dove Charlie, senza alcuna remora, prende a calci in faccia un anziano facchino crollato a terra sotto il peso di un baule.

• Chaplin dimostrò fin da subito una straordinaria maestria nelle cadute acrobatiche, trasformando ogni inciampo in un momento di perfezione comica. La sua abilità era tale da far sembrare che le scale "si piegassero sotto di lui". In "His Favorite Pastime", mentre ubriaco segue una donna su per le scale, esegue un impeccabile capitombolo oltre la ringhiera, atterrando in posizione eretta su un divano dove continua a fumare la sigaretta come se nulla fosse accaduto.

• A differenza di molti suoi contemporanei, Chaplin utilizzava lo slapstick non solo come fine a se stesso, ma anche come potente strumento di parodia. Molti dei suoi cortometraggi Keystone sono satire pungenti di generi e cliché dell'epoca: "The Property Man" mette in ridicolo gli stereotipi del vaudeville. "The Masquerader" fa una caricatura del mondo del cinema stesso. "The Face on the Bar-room Floor" è una ricca parodia del dramma strappalacrime.

• Nel corso del 1914, Chaplin introdusse una serie di manierismi che sarebbero diventati parte integrante e indimenticabile del suo personaggio. Questi gesti ricorrenti contribuirono a definire la sua maschera comica: L'uso versatile del bastone (brandito, appeso al braccio, usato per agganciare oggetti o persone). Il caratteristico sollevamento verticale della bombetta in segno di saluto. Il leggero fremito dei baffi che accompagnava i suoi sorrisi. L'inconfondibile sbandata su un piede solo per girare gli angoli durante le fughe.

• All'interno del caos calcolato dello slapstick Keystone, è già possibile individuare i semi delle gag più complesse e geniali che caratterizzeranno i suoi capolavori futuri. Questi "sprazzi comici", come venivano definiti, erano "profetici dei brillanti tocchi comici a venire". Tra gli esempi più significativi si possono citare: In "Making a Living", mendica denaro dal suo benefattore-rivale, rifiuta sdegnosamente la moneta offerta perché troppo piccola, per poi afferrarla fulmineamente quando l'uomo sta per rimetterla in tasca. In "A Film Johnny", accende la sigaretta sparando un colpo di rivoltella sulla sua punta. In "The New Janitor", mentre si china per raccogliere una pistola, la punta tra le proprie gambe contro un malvivente che si avvicina, mantenendolo sotto tiro anche mentre si rialza. Tutti questi elementi, dalla violenza fisica alla gag strutturata, trovarono una sintesi narrativa più ampia e ambiziosa nel primo lungometraggio comico della storia del cinema.

Caso di Studio: "Tillie's Punctured Romance"

lobby card (1918) U.S.A.

"Tillie's Punctured Romance" (noto in Italia come "Il romanzo di Tillie") rappresenta un caso di studio eccezionale per comprendere lo stile di Chaplin nell'era Keystone. Il film è significativo non solo per essere stato il primo lungometraggio comico della storia, ma anche perché mostra Chaplin in un ruolo da antagonista, un cinico imbroglione. Questo permette di osservare il suo repertorio slapstick applicato a una narrazione più estesa e a una complessa struttura parodistica.

• Il film è una "brillante parodia del vecchio cliché del damerino di città e della fanciulla di campagna". Chaplin, nel ruolo dell'approfittatore, utilizza lo slapstick non per gag isolate, ma come strumento per definire il suo personaggio e far avanzare la trama. Le sue azioni comiche, dalla seduzione goffa ma efficace di Tillie al furto del denaro, sono funzionali a delineare la sua natura di truffatore senza scrupoli, rendendo la comicità un motore narrativo.

• "Tillie's Punctured Romance" può essere considerato una vera e propria "summa" dello stile Keystone, tanto che una critica dell'epoca lo definì una "mera antologia Keystone". Il film mette in scena tutto il repertorio tipico dello studio, applicandolo a una produzione di durata senza precedenti. Tra gli elementi slapstick più evidenti si ritrovano le fughe rocambolesche nel traffico cittadino e la scena frenetica nel caffè, dove una Tillie ubriaca si lancia in balli scatenati. L'apice è raggiunto nell'inseguimento finale, che culmina sul molo con l'intervento dei Keystone Kops: i poliziotti sbandano entrando nella stazione, ammucchiandosi l'uno sull'altro, per poi sbandare di nuovo uscendo. La folle corsa si conclude quando un'auto della polizia, stracolma di agenti, scaraventa Tillie, se stessa e il suo contenuto nell'oceano.L'esperienza accumulata nella gestione di una narrazione così complessa si rivelerà fondamentale per la successiva e rapida evoluzione artistica di Chaplin.

La Fondazione di un'Arte 

Charlie Chaplin in Keystone Comedy Day (Keystone, 1923)

L'anno trascorso alla Keystone fu un periodo di importanza cruciale e insostituibile per Charles Chaplin. Sebbene i film di questa fase manchino della profondità psicologica e del pathos che caratterizzeranno i suoi capolavori successivi, essi rappresentano la tappa indispensabile in cui l'artista gettò le fondamenta della sua intera carriera. Durante il 1914, Chaplin:1. Imparò la tecnica cinematografica, assimilando la grammatica visiva di Mack Sennett e padroneggiando i rudimenti della regia e del montaggio. Definì l'aspetto esteriore del suo personaggio immortale, creando una maschera universalmente riconoscibile che sarebbe diventata un'icona del XX secolo. Sviluppò e perfezionò un vocabolario di comicità fisica, personalizzando lo slapstick dell'epoca con manierismi, acrobazie e gag che sarebbero diventate la base su cui, negli anni a venire, avrebbe costruito complesse architetture di comicità, satira e profonda umanità. L'era Keystone, con la sua frenesia produttiva e la sua comicità brutale, non fu semplicemente un inizio, ma la fondazione essenziale su cui poggia l'intera, straordinaria carriera artistica di Charles Chaplin.

Il Periodo di Transizione alla Essanay (1915) 

Oltre Keystone, Verso la Leggenda

Alla fine del 1914, Charlie Chaplin era già una figura di spicco nel nascente mondo del cinema, ma il suo anno con la Keystone Film Company rappresentò soltanto il trampolino di lancio per un'evoluzione artistica e professionale senza precedenti. Quel periodo frenetico, caratterizzato da una produzione quasi settimanale di cortometraggi slapstick, gli fornì le basi tecniche e la notorietà necessarie per spiccare il volo. Tuttavia, la vera trasformazione di Chaplin, da comico di successo a leggenda del cinema, iniziò nel 1915. Il passaggio di Charlie Chaplin alla Essanay Film Manufacturing Company nel gennaio 1915 fu una mossa strategica di fondamentale importanza. 

L'enorme aumento di stipendio, che passò dai 150 dollari della Keystone a 1.250 dollari a settimana, e la maggiore libertà creativa concessagli segnarono l'inizio della sua vera evoluzione artistica. Questo periodo, sebbene durato solo un anno, fu un laboratorio creativo in cui Chaplin poté rallentare il ritmo produttivo, affinare la sua pantomima e sperimentare con nuove tonalità emotive, ponendo le basi per il personaggio e lo stile che lo avrebbero reso immortale.

Card n.48 CINEMA STARS - B.A.T.  (1924)

L'Evoluzione Artistica: Oltre lo Slapstick

Durante il suo anno alla Essanay, Chaplin introdusse innovazioni stilistiche che distinsero nettamente le sue opere dal caos frenetico dello stile Keystone. Allontanandosi dalla semplice comicità basata su cadute e torte in faccia, iniziò a costruire gag più strutturati e a esplorare nuove dimensioni narrative.

• Il Pathos: La nota patetica, destinata a diventare un suo marchio di fabbrica, emerse per la prima volta in maniera chiara in film come The Tramp. Quest'opera si concluse con un finale "triste", una scelta audace e inaudita per la commedia dell'epoca: dopo aver perso la ragazza amata, il Vagabondo si allontana sconsolato lungo una strada deserta, per poi, con un'alzata di spalle filosofica, riprendere la sua iconica andatura baldanzosa. Anche in The Bank, il sogno d'amore del custode si infrange contro la realtà, culminando in una scena in cui si ritrova ad abbracciare il suo mocio invece della bella stenografa.


• La Satira: Oltre la semplice burla, Chaplin iniziò a sviluppare una vera e propria satira della società e del mondo del cinema. In His New Job, il suo primo film per la Essanay, prese di mira senza pietà l'industria cinematografica stessa, deridendo attori presuntuosi, registi e l'intero processo produttivo. La sua parodia di Carmen non fu solo una satira dell'opera, ma un diretto sberleffo alle due versioni cinematografiche "serie" uscite quell'anno, in particolare quella di Cecil B. DeMille. L'episodio di questo film esemplifica anche le forze commerciali che interferivano con la visione di un artista: dopo la sua partenza, la Essanay trasformò arbitrariamente il cortometraggio da due rulli in un'opera di quattro, aggiungendo materiale scartato e una nuova sottotrama con l'attore Ben Turpin, con cui Chaplin non appare mai in scena.


• Le Trasposizioni Comiche e i Gag Strutturati: La comicità divenne più cerebrale e meno fisica. Gag sofisticati, come l'uso del telefono per versarsi dell'acqua in A Night Out o il tentativo di mungere una mucca "pompando" la sua coda in The Tramp, dimostrano una comicità più pensata, basata sulla trasmutazione obliqua di oggetti e movimenti. Scene come quella del dormitorio in Police contengono il germe di idee che Chaplin avrebbe rivisitato e perfezionato in opere successive come Shoulder Arms, Il Monello e La Febbre dell'Oro, rivelando un metodo artistico basato sul continuo affinamento del proprio genio creativo.

La Definizione del Personaggio

Card n.5  Cinema Stars - Smiths (1920)

Il personaggio del Vagabondo ("The Tramp") subì una trasformazione radicale. Se nei film Keystone era una figura fondamentalmente antipatica e a tratti crudele, il periodo Essanay segnò la nascita del "vero 'Charlie'". Il personaggio Keystone, descritto come "un imbroglione, un mascalzone, un fastidioso pasticcione, un ladro, un ubriacone odioso, crudele fino al sadismo", lasciò il posto alla figura tragicomica e profondamente simpatica che il pubblico avrebbe amato: un emarginato con un cuore gentile, un sognatore perennemente in cerca di bellezza in un mondo spietato, l'eterno sfavorito capace di incarnare l'intera gamma delle emozioni umane.

 Il Consolidamento del Team Creativo

Card n.18 CINEMA STARS - W. SANDORIES & Co. Ltd. (1924)

(collezione personale)

Fu durante il periodo Essanay che Chaplin assemblò il nucleo del team creativo che lo avrebbe seguito per anni. La scoperta più importante fu Edna Purviance, una stenografa senza alcuna esperienza di recitazione che divenne la sua partner ideale sullo schermo. Con la sua classica bellezza bionda e il suo temperamento calmo, forniva il contrasto perfetto ("foil") al personaggio esuberante di Chaplin. A lei si affiancò il direttore della fotografia Rollie Totheroh, che avrebbe lavorato con lui fino a Monsieur Verdoux nel 1947, contribuendo a definire lo stile visivo dei suoi film.Completato il suo anno alla Essanay, Chaplin era diventato la figura più importante dell'industria cinematografica, preparandosi a raggiungere l'apice della sua arte comica nel biennio successivo, grazie al rivoluzionario contratto con la Mutual.

 L'Epoca d'Oro della Mutual (1916-1917)

 Il Perfezionamento della Commedia

Il periodo della Mutual Film Corporation è universalmente riconosciuto come l'apice della produzione di cortometraggi di Chaplin. Forte di un contratto senza precedenti da 670.000 dollari all'anno (10.000 a settimana più un bonus di 150.000), Chaplin ebbe a disposizione risorse illimitate. Si fece costruire un suo studio personale, il Lone Star, e, soprattutto, ebbe il tempo necessario per perfezionare ogni singolo film. Questo biennio fertile e felice diede vita a dodici commedie di due rulli che rappresentano la quintessenza della sua arte comica, una serie di capolavori che consolidarono la sua fama globale.

Maestria Tecnica e Narrativa

Magazine Film Fun February 1916 - "Courtesy of the site Doctormacro.com"

Le commedie della Mutual sono caratterizzate da un notevole salto di qualità tecnico e stilistico, reso possibile dalle condizioni di lavoro ideali.

• Qualità della Produzione: Con più tempo a disposizione, Chaplin poteva permettersi di sperimentare e rifinire ogni scena. Girava quantità impressionanti di pellicola (fino a 90.000 piedi per un cortometraggio di due rulli) per ottenere opere impeccabili, strutturate e raffinate, dove ogni gag era studiato con precisione millimetrica.

• Innovazioni Tecniche: La fotografia di questo periodo raggiunse una notevole chiarezza. Chaplin iniziò a utilizzare tecniche di ripresa più dinamiche, come la "moving camera" (carrellate), evidente in film come The Vagabond e The Cure, per seguire l'azione e creare un maggiore coinvolgimento emotivo.

• Sviluppo del Cast di Supporto: Gli attori che lo circondavano non erano più semplici "spalle" (stooges), ma si trasformarono in personaggi più pienamente sviluppati, creando un vero e proprio "ensemble". Il gigantesco Eric Campbell divenne il suo antagonista perfetto, la personificazione del "Golia" contro cui il suo "Davide" doveva lottare, mentre attori come Albert Austin contribuivano a creare un universo comico coeso e credibile.

Analisi dei Capolavori

Tra i dodici film realizzati, due in particolare esemplificano la maestria raggiunta in questo periodo:

• Easy Street: È probabilmente il film più famoso del periodo Mutual. La sua storia, abilmente costruita, segue la trasformazione del Vagabondo: redento in una missione di carità, diventa un poliziotto in un quartiere malfamato dominato da un prepotente gigante. Con una miscela perfetta di dramma sociale e comicità inventiva, Charlot sottomette il bullo piegando un lampione a gas sulla sua testa, dimostrando come Chaplin sapesse fondere critica sociale (povertà urbana, redenzione) e slapstick geniale.


• The Immigrant: Definito un "trionfo", questo cortometraggio combina magistralmente sentimento e satira sociale. La sua critica è particolarmente tagliente nella scena in cui la nave passa accanto alla Statua della Libertà e gli immigrati, invece di essere accolti, vengono "spinti e legati con una corda come bestiame". La seconda metà, ambientata in un ristorante, è un capolavoro di costruzione narrativa, interamente sviluppata attorno a una moneta trovata e persa, che genera suspense, comicità e pathos.


L'Esplosione della Fama Globale

Durante il biennio 1916-1917, la fama di Chaplin divenne un fenomeno mondiale incontrastato. La sua popolarità era tale che, come testimonia un celebre aneddoto, il grande ballerino Nijinski interruppe una sua esibizione a Los Angeles per omaggiare Chaplin, presente tra il pubblico, invitandolo nel backstage e facendo attendere gli spettatori. Questo status di icona culturale è ulteriormente confermato dalla proliferazione di imitatori, il più famoso dei quali fu Billy West, che replicava spudoratamente ogni dettaglio del suo costume e della sua gestualità.

Concluso il contratto con la Mutual, Chaplin era pronto a compiere il passo successivo, quello che lo avrebbe portato alla piena indipendenza come produttore con il suo primo contratto milionario con la First National.

First National (1918-1923)

Indipendenza, Grandi Opere e Tumulti Personali

Il contratto da un milione di dollari firmato con la First National Exhibitors' Circuit segnò il passo definitivo verso la completa autonomia produttiva. Chaplin non era più solo un attore o un regista stipendiato, ma il suo stesso produttore, con il pieno controllo creativo sulle sue opere. Questo periodo, che si estese per cinque anni per la realizzazione di otto film, fu caratterizzato da opere più ambiziose, complesse e realistiche. Tuttavia, questa fase di grande crescita artistica fu anche segnata da profonde turbolenze nella sua vita privata, che inevitabilmente influenzarono il suo ritmo lavorativo e le sue creazioni.

L'Autore Indipendente e i Primi Capolavori

Poster (1918) - "Courtesy of the site Doctormacro.com"

In qualità di produttore indipendente, Chaplin poté permettersi di dedicare ancora più tempo e cura a ogni film. Le sue opere per la First National divennero più lunghe e strutturate, superando la durata standard dei due rulli. A Dog's Life e Shoulder Arms sono considerati i suoi primi veri capolavori. In questi film, il personaggio di Charlot diventa più gentile e le ambientazioni più realistiche, riflettendo una crescente attenzione alla costruzione narrativa e alla profondità psicologica. Shoulder Arms, una satira audace sulla vita in trincea durante la Prima Guerra Mondiale, ottenne un successo fenomenale, consolidando la sua posizione come artista capace di affrontare temi complessi con umorismo e umanità.

"Il Monello" (The Kid)

 Una Nuova Dimensione Drammatica

The Kid (1921) rappresenta una pietra miliare nella carriera di Chaplin e nella storia del cinema. Per la prima volta, un film fondeva magistralmente commedia slapstick e dramma straziante, dimostrando che il pubblico poteva ridere e piangere nello stesso momento.

Chaplin & Jackie Coogan "Courtesy of the site Doctormacro.com"

• La Scoperta di Jackie Coogan: Il film fu ispirato dall'incontro con il giovane e talentuosissimo Jackie Coogan, che Chaplin trasformò in una delle prime grandi star infantili del cinema. La chimica tra il Vagabondo e il monello è al centro del successo emotivo del film.

• Difficoltà Produttive e Fuga in Utah: La produzione fu segnata dalle turbolenze del suo divorzio da Mildred Harris. Le finanze di Chaplin erano in uno "stato di esaurimento", rendendo la posta in gioco altissima. Per evitare che la pellicola venisse sequestrata come parte dei beni coniugali, Chaplin fu costretto a una fuga rocambolesca. Scappò con il negativo a Salt Lake City, Utah, dove montò segretamente gran parte del film in una stanza d'albergo, lottando non solo per la sua arte ma per la sua stessa sopravvivenza finanziaria.

• Un Successo Travolgente: Nonostante le difficoltà, The Kid fu un trionfo di critica e pubblico. Dopo due cortometraggi considerati "fallimenti" (Sunnyside e A Day's Pleasure), questo film di sei rulli riaffermò in modo spettacolare la sua genialità, dimostrando la sua capacità di evolversi e di superare i confini tradizionali dei generi cinematografici.

Card n.23 -  CINEMA STARS - E.RINGERS CIGARETTES (1923)

(collezione personale)

Card n.1 -  CINEMA STARS - E.RINGERS CIGARETTES (1923)

(collezione personale)

L'Impatto della Vita Privata: Il Matrimonio con Mildred Harris

Mildred Harris - "Courtesy of the site Doctormacro.com"

Nel 1918, Chaplin sposò la sedicenne attrice Mildred Harris. Il matrimonio si rivelò infelice e il successivo, amaro divorzio fu fonte di grande stress. Le accuse pubbliche di crudeltà mentale mosse dalla moglie e la battaglia legale per gli alimenti e la divisione dei beni ebbero un impatto diretto sulla produzione, rallentando il suo ritmo lavorativo e costringendolo, come visto, a proteggere il suo lavoro più ambizioso, The Kid, con misure estreme. Una volta completato l'oneroso contratto con la First National, Chaplin era finalmente libero di dedicarsi interamente alla United Artists, la compagnia di distribuzione che aveva co-fondato nel 1919, aprendo la fase della sua piena maturità artistica.

L'Era United Artists

La Conquista del Lungometraggio

Con l'inizio del suo lavoro per la United Artists, la compagnia da lui co-fondata con Mary Pickford, Douglas Fairbanks e D. W. Griffith, Chaplin entrò nella fase della piena maturità artistica e della libertà assoluta. 

Card CINEMA STARS

 UNITED TOBACCO COS. (SOUTH) LTD. (1929)

Charles, Chaplin, Mary Pickford & Duglas Fairbanks

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Non più vincolato da contratti che imponevano scadenze e numero di film, poté dedicare tutto il tempo necessario a ogni progetto, sperimentando con audacia e realizzando alcune delle sue opere più complesse e celebrate. Questa indipendenza gli permise di spingersi oltre i confini della commedia e di affermarsi definitivamente come un maestro del lungometraggio.

"La Donna di Parigi" (1923) 

La Svolta Drammatica e l'Influenza Stilistica

Il suo primo film per la United Artists, A Woman of Paris, fu un atto di straordinario coraggio artistico. Chaplin scelse di scrivere e dirigere un dramma sofisticato e psicologico, senza apparire come attore (se non in un breve cameo irriconoscibile come facchino).Il film, incentrato sulla figura di una donna contesa tra due uomini, si rivelò un insuccesso commerciale, poiché il pubblico non era pronto a un film di Chaplin senza Charlot. Tuttavia, dal punto di vista stilistico, fu rivoluzionario. Introdusse uno stile visivo sottile e psicologico, basato su dettagli, simbolismi e azioni implicite piuttosto che su gesti plateali. Questo approccio, che permetteva di suggerire emozioni complesse e di aggirare la censura, influenzò profondamente una generazione di registi, in particolare Ernst Lubitsch, che ne fece un marchio di fabbrica nelle sue commedie sofisticate.

"La Febbre dell'Oro" (1925)

L'Apice del Successo

Dopo l'esperimento drammatico, Chaplin tornò al personaggio del Vagabondo con The Gold Rush, il suo film "probabilmente più celebrato". Quest'opera epica, ambientata durante la corsa all'oro del Klondike, è una sintesi perfetta della sua arte, in cui fonde magistralmente generi diversi. Le sue scene iconiche dimostrano una padronanza assoluta del mezzo cinematografico.

• La Cena del Ringraziamento: Nella celebre scena in cui Charlot bolle e mangia la sua scarpa, Chaplin eleva la trasposizione comica a un livello di pura arte. Il modo in cui tratta i lacci come spaghetti e succhia i chiodi come ossicini di pollo non è solo esilarante, ma profondamente patetico, trasformando un atto di disperazione in un rituale grottesco e indimenticabile.

• La Danza dei Panini: Questa sequenza è un momento di pura grazia e inventiva, in cui Charlot immagina di eseguire una danza con due panini infilzati su delle forchette. La sua genialità risiede nel contrasto tra l'eleganza della fantasia e la cruda realtà: la danza si svolge solo nella sua immaginazione, rendendo ancora più struggente l'attesa per le ospiti che non arriveranno mai.

• La Capanna in Bilico: In questa sequenza, Chaplin si appropria magistralmente della struttura "comedy-thrill" resa popolare da rivali come Harold Lloyd. Integrando la suspense acrobatica nel suo stile incentrato sul pathos, crea un ibrido unico di terrore e comicità, dimostrando la sua capacità di assorbire e rielaborare le tendenze del cinema contemporaneo all'interno della sua visione autoriale. Con La Febbre dell'Oro, Chaplin non solo raggiunse l'apice del successo, ma completò anche la sua evoluzione da attore comico a maestro indiscusso del cinema mondiale.

Il percorso artistico di Charlie Chaplin, in particolare l'evoluzione del suo approccio allo slapstick, è stato straordinariamente rapido e profondo, partendo dalla frenesia della Keystone per giungere all'epica tragicomica de La Febbre dell'Oro (1925). Chaplin trasformò lo slapstick volgare e grezzo della Keystone in una forma d'arte universale e matura, capace di toccare profondità tragiche e satiriche. Dal "comico da un nichelino" (little nickel comedian) del 1914, divenne il maestro ineguagliato del lungometraggio, utilizzando il corpo e l'espressione per veicolare non solo risate, ma anche pietà, ironia e un'osservazione profonda della natura umana.


Buster Keaton

Un Genio dalla Faccia di Pietra

Buster Keaton non è stato semplicemente un comico; è stato un pioniere, un ingegnere della risata e una figura fondamentale la cui influenza ha plasmato la grammatica stessa della commedia cinematografica. In un'epoca definita da volti espressivi e gesti esagerati, Keaton si distinse per il suo stoicismo impassibile, una maschera di pietra che fungeva da contrappunto perfetto al caos cinetico che scatenava sullo schermo. La sua arte era una miscela unica e rivoluzionaria di audacia acrobatica, precisione meccanica e una profonda comprensione della psicologia del pubblico. Non si limitava a eseguire gag; le costruiva con la meticolosità di un architetto, trasformando lo slapstick da semplice farsa a una forma d'arte complessa e senza tempo. Il suo contributo indelebile al cinema risiede in questa capacità di fondere il corpo umano con la macchina, il caos con la logica, e l'assurdo con una profonda e silenziosa umanità.

Il Crogiolo del Vaudeville

La Nascita di una Leggenda (1895-1917)

Gli anni formativi di Buster Keaton nel circuito del vaudeville non furono un'infanzia nel senso tradizionale del termine, ma un apprendistato brutale e intensivo che forgiò ogni aspetto della sua futura arte cinematografica. Sul palcoscenico, in balia della violenza comica orchestrata da suo padre, il giovane Buster imparò a trasformare il dolore in risate, il pericolo in spettacolo e il suo corpo in uno strumento di precisione acrobatica. Fu in questo crogiolo che acquisì un vocabolario fisico unico, che in seguito avrebbe tradotto nella grammatica del cinema. Questa esperienza fu la base su cui costruì il suo stile slapstick, la sua incredibile resistenza fisica e la sua complessa psicologia comica, gettando le fondamenta per la leggenda che sarebbe diventato.

Joseph Frank Keaton nacque il 4 ottobre 1895 a Piqua, Kansas, letteralmente "con lo spettacolo". I suoi genitori, Joe Keaton e Myra Cutler, erano artisti girovaghi. Joe era un comico naturale, un ballerino eccentrico e, secondo Buster, "l'uomo più dotato che abbia mai visto nel fare una caduta". Myra, proveniente da una famiglia di showmen, portava con sé la resilienza del mondo dello spettacolo. Il soprannome che lo avrebbe definito per sempre gli fu dato quando aveva solo sei mesi. Dopo una caduta da una rampa di scale, il leggendario illusionista Harry Houdini lo raccolse e disse: "My, what a Buster!" (Caspita, che capitombolo!). Da quel momento, per suo padre e per il mondo, divenne Buster. La sua prima infanzia fu segnata da una serie di incidenti quasi fatali che sembravano presagire la sua futura carriera. A meno di tre anni, si schiacciò il dito indice in uno strizzatore; poco dopo, un mattone gli cadde in testa; infine, fu risucchiato fuori da una finestra da un ciclone. Dopo quest'ultimo evento, sua madre Myra insistette per tenerlo sempre vicino a sé, una decisione che di fatto lo portò direttamente sul palcoscenico.

"L'Atto più Ruvido del Vaudeville"

Three Keatons - Pinterest.com

L'atto dei "Three Keatons" si guadagnò presto la reputazione di essere il più violento del vaudeville. Il ruolo di Buster era centrale e incredibilmente fisico. Suo padre Joe lo usava letteralmente come un oggetto di scena: lo lanciava attraverso il palco, lo usava come uno straccio per pulire il pavimento e lo sottoponeva a una serie di abusi fisici coreografati per ottenere l'ilarità del pubblico. Questa violenza era tuttavia controllata da un'abilità quasi soprannaturale. Buster imparò istintivamente a padroneggiare il proprio corpo per evitare infortuni. Come lui stesso spiegò: Si impara a fare le cadute... Ho imparato il trucco così presto nella vita che il controllo del corpo è diventato per me puro istinto. Oltre alla fisicità, apprese una sofisticata psicologia comica. Ad esempio, nel numero "The Slow Thinker", suo padre gli dava un calcio e Buster aspettava cinque secondi prima di afferrarsi i pantaloni e urlare. Questa reazione ritardata, come se il dolore impiegasse tempo a raggiungere il cervello, mandava il pubblico in visibilio e fu una delle sue prime lezioni sull'importanza del tempismo comico.

La Nascita della "Grande Faccia di Pietra"

Card n.71 - SALEM GOLD-FILM-BILDER ALBUM 1

SALEM CIGARETTENFABRIK - DRESDEN (1934)

(collezione personale)

La celebre espressione impassibile di Keaton, il suo marchio di fabbrica, non nacque per caso ma fu una scoperta strategica. Fin da piccolo, notò che quando sorrideva, le risate del pubblico diminuivano. La sua intuizione fu confermata e rafforzata da suo padre. Ho imparato in età molto precoce che se ridevo di ciò che facevo, il pubblico non rideva... Se qualcosa mi solleticava e iniziavo a sorridere, il vecchio sibilava: "Faccia! Faccia!"Questa espressione divenne uno strumento comico potentissimo. La sua faccia di pietra fungeva da ancora stoica in un universo di caos totale. L'assoluta serietà con cui affrontava le situazioni più assurde e pericolose amplificava l'effetto comico, creando un contrasto irresistibile che spingeva il pubblico a ridere per lui, della sua sfortunata e imperturbabile condizione.

Un'Istruzione sul Palcoscenico

L'istruzione formale di Buster Keaton durò un solo giorno. Dopo aver dato risposte volutamente comiche, fu espulso. La sua vera educazione avvenne dietro le quinte, dove ricevette lezioni informali da alcuni dei più grandi artisti dell'epoca: Harry Houdini gli insegnò giochi di prestigio e il grande ballerino Bill "Bojangles" Robinson gli insegnò il tip-tap. Tuttavia, la sua presenza sul palco lo mise costantemente in conflitto con la "Gerry Society" (la Società per la Prevenzione della Crudeltà verso i Bambini), che accusava suo padre di abusi. Keaton fu sottoposto a numerose ispezioni fisiche, ma l'atto poté continuare grazie a una scappatoia legale che vietava ai minori di esibirsi come acrobati, ma non di essere "usati come uno straccio umano". Con il passare degli anni, la crescente dipendenza dall'alcol di suo padre rese la collaborazione sempre più pericolosa, spingendo Buster verso una decisione che avrebbe cambiato per sempre la storia del cinema.

L'Approdo al Grande Schermo

La Transizione al Cinema (1917-1919)

Card n.2 CINEMA STARS - THE IMPERIAL TOBACCO CO. (1920)

Raggiunta la maggiore età nel 1917, Buster Keaton prese la fatidica decisione di abbandonare il mondo familiare ma distruttivo del vaudeville per entrare nel nascente e affascinante universo del cinema. Questo passaggio non rappresentò solo un cambio di mezzo espressivo, ma l'inizio di un nuovo apprendistato. Sotto la guida del suo primo mentore cinematografico, Roscoe "Fatty" Arbuckle, Keaton iniziò a tradurre le sue straordinarie abilità fisiche e il suo istinto comico nel linguaggio unico e illimitato della macchina da presa.

L'Addio al Vaudeville e l'Incontro con il Cinema

Card n.13 - BERGMANNS - BUNTE - BÜCHER 1

HAUS BERMANN ZIGARETTENFABRIK - Dresda (1932)

(collezione personale)

Nel febbraio del 1917, l'alcolismo di suo padre Joe rese la loro collaborazione insostenibile. Buster sciolse l'atto e si recò a New York, dove fu immediatamente ingaggiato per il prestigioso spettacolo teatrale "The Passing Show". Tuttavia, un incontro casuale cambiò il corso della sua carriera. Per strada, incrociò Lou Anger in compagnia del celebre comico cinematografico Roscoe "Fatty" Arbuckle. Affascinato dall'atto dei Keatons, Arbuckle lo invitò sul set del suo nuovo cortometraggio, The Butcher Boy. Spinto più dalla curiosità che da un reale interesse, Keaton accettò. 

Quel giorno sul set fu una rivelazione. Dopo la sua prima scena, Keaton non pensò al colpo ricevuto, ma alla macchina da presa. Affascinato, la portò a casa con sé per smontarla e rimontarla durante la notte. Scoprì un mondo senza i limiti fisici del palcoscenico, la macchina da presa non aveva limiti. Se volevi città, deserti, l'Oceano Atlantico... per la tua scenografia... semplicemente portavi la tua macchina da presa lì. La macchina da presa ti permetteva di mostrare al pubblico la cosa vera. Rinunciò immediatamente al contratto teatrale per accettare un'offerta molto inferiore da Arbuckle. Quel periodo, trascorso a recitare in una serie di cortometraggi per la Comique Film Co., fu il suo vero e proprio apprendistato cinematografico. Lavorando al fianco di Arbuckle, imparò non solo a recitare per la cinepresa, ma anche a costruire gag e a comprendere la meccanica della produzione. Questo periodo formativo fu interrotto dal suo servizio militare nella Prima Guerra Mondiale, ma al suo ritorno, Keaton era pronto a prendere in mano le redini del suo destino artistico.

L'Età d'Oro di Keaton

 Padrone del Proprio Universo (1920-1928)

Il periodo tra il 1920 e il 1928 rappresenta l'apice della genialità creativa di Buster Keaton. Con il suo studio personale, una squadra fidata e una totale autonomia artistica garantitagli dal produttore Joseph M. Schenck, Keaton fu libero di sperimentare, innovare e perfezionare il suo stile unico. In questi otto anni, produsse una serie ininterrotta di capolavori che non solo hanno ridefinito i confini della commedia slapstick, ma l'hanno elevata a una vera e propria forma d'arte, caratterizzata da un'ingegneria comica senza precedenti e da un'audacia fisica mozzafiato.

Il gruppo creativo di Buster, 1923: da sinistra a destra: BK (Buster Keaton), Clyde Bruckman, Joe Mitchell, Jean Havez, Eddie Cline. Foto scattata durante la produzione del primo lungometraggio indipendente di Keaton, The Three Ages.

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Dopo il suo ritorno dalla guerra, Joseph M. Schenck offrì a Keaton la sua unità di produzione personale. Keaton acquistò il vecchio studio di Chaplin e si circondò di un piccolo team, tra cui i "gagmen" Clyde Bruckman e Jean Havez. Il suo metodo era atipico: non esistevano sceneggiature complete; il processo iniziava spesso con l'ideazione della fine della storia, per poi costruire a ritroso il resto. Questo modello gli garantì un controllo assoluto e una libertà impareggiabile. Poiché la sua squadra era a stipendio fisso, poteva permettersi di sperimentare senza pressioni finanziarie. Se una scena non funzionava, poteva rigirarla "per circa due dollari e trentanove centesimi", un lusso impensabile nel sistema dei grandi studi che avrebbe conosciuto in seguito.

La Meccanica della Risata

Analisi dello Stile Slapstick di Keaton

Card n.186 JOSETTI FILM ALBUM N°1

JOSETTI - BERLIN (1930)

(collezione personale)

Lo stile di Keaton era una fusione di precisione matematica, rischio calcolato e innovazione tecnica.

• Evoluzione dei Gag: Con il passaggio ai lungometraggi, abbandonò le "gag da cartone animato" per situazioni logiche e credibili. Fu una scelta dettata da una sofisticata comprensione della psicologia del pubblico: per mantenere la sospensione dell'incredulità in una narrazione estesa, l'investimento emotivo dello spettatore non poteva essere tradito da eventi impossibili.

• Rischio e Precisione: Keaton non usava controfigure e il suo impegno era totale. Durante le riprese de La casa elettrica, si ruppe una caviglia. L'incidente più grave avvenne sul set di La palla n° 13 (Sherlock, Jr.). Aggrappato al tubo di una torre dell'acqua, fu travolto da un getto potentissimo che "strappò la mia presa... e mi fece cadere... con il collo che si spezzò netto contro il binario d'acciaio". L'impatto gli causò una frattura al collo che non fu diagnosticata per anni.

• Interazione con la Scena: Il suo rapporto con macchinari e scenografie era quasi simbiotico. La celebre scena di Io e la vacca (Steamboat Bill, Jr.) in cui la facciata di un edificio di due tonnellate gli crolla addosso è un capolavoro di architettura comica. Keaton si posizionò su un punto preciso, sapendo di avere solo pochi centimetri di margine di errore, trasformando un atto di coraggio in un calcolo ingegneristico perfetto.

• Innovazione Tecnica: La sua genialità ingegneristica è evidente ne Il Teatro di Varietà (The Playhouse). Per mostrare nove versioni di se stesso sullo schermo contemporaneamente, ideò una scatola nera a prova di luce da montare sull'obiettivo della cinepresa, dotata di nove otturatori meticolosamente calibrati. Riprendendo una sezione alla volta e riavvolgendo il film per ogni esposizione, creò un effetto che fu considerato un "miracolo scientifico", la prova definitiva del suo status di architetto del cinema.

I Capolavori del Muto

Cortometraggi (1920-1922)


Card n.106 BULGARIA FILMBILDER

BULGARIA ZIGARETTENFABRIK, Dresden (1932)

(collezione personale)

I cortometraggi realizzati da Buster Keaton all'inizio della sua carriera solista non furono semplici sketch comici, ma veri e propri laboratori di sperimentazione. In queste opere, forgiò meticolosamente il suo personaggio iconico, "The Great Stone Face", e perfezionò una tecnica di messa in scena basata su precisione matematica e un'incredibile audacia fisica. Fu qui che stabilì i temi ricorrenti della sua filmografia: la lotta dell'individuo contro le forze schiaccianti della modernità, le trappole illogiche della società e i capricci imprevedibili del destino.

One Week (1920)

Una Dichiarazione d'Intenti

One Week (1920) funse da potente dichiarazione d'intenti per Keaton. La semplice premessa,  il disastroso tentativo di una coppia di novelli sposi di assemblare una casa prefabbricata i cui componenti sono stati sabotati da un rivale, diventa una metafora del tema centrale della sua opera: la lotta dell'uomo comune contro un mondo meccanico e illogico. La casa non è un semplice oggetto di scena, ma un vero e proprio antagonista, stabilendo un conflitto tra l'umanità e gli oggetti inanimati ostili che avrebbe definito il suo stile. Questa lotta non fu meramente cinematografica; la dedizione fisica di Keaton era spaventosa. Durante una caduta dal secondo piano della struttura instabile, si infortunò gravemente ma, come lui stesso raccontò, terminò la giornata di lavoro nonostante i gomiti gonfi e la schiena martoriata, cementando la leggendaria resilienza fisica che rese possibile la sua arte.

The Playhouse (1921) 

L'Innovazione Tecnica e il Surrealismo

La celebre sequenza di apertura di The Playhouse rimane un vertice di virtuosismo tecnico e riflessione surreale. In essa, Keaton interpreta ogni ruolo: i membri dell'orchestra, gli attori sul palco e persino il pubblico, apparendo in nove versioni di sé stesso simultaneamente. Per l'epoca, questo effetto fu considerato un "miracolo scientifico". Non si trattava di una semplice doppia esposizione, ma di un'innovazione sbalorditiva: una scatola a prova di luce dotata di nove otturatori di precisione, montata sulla cinepresa, che permetteva di esporre separatamente nove sezioni della stessa pellicola. La tecnica fu mantenuta segreta e, come testimoniarono i suoi collaboratori, Hollywood "rinunciò persino a provare a copiarla". Al di là della prodezza, la sequenza è una dichiarazione poetica e ironica sull'ego dell'attore e sulla natura illusoria del cinema stesso, dove un singolo creatore può letteralmente popolare un intero mondo.

Cops (1922) 

L'Individuo Contro la Società Caotica

Con Cops, Keaton spinge il tema dell'uomo contro la società al suo estremo parossistico. A causa di una sfortunata e involontaria catena di eventi, il suo personaggio si ritrova a lanciare una bomba nel bel mezzo di una parata, scatenando l'ira dell'intera forza di polizia della città. L'inseguimento che ne consegue è una delle sequenze più caotiche e memorabili del cinema muto. Tuttavia, è il finale a consegnare il film alla storia: rifiutato dalla ragazza che ama e braccato da una folla inferocita, il protagonista si consegna volontariamente alla massa, una delle conclusioni più pessimistiche e audaci del cinema comico dell'epoca. L'impatto universale del film fu confermato da Keaton stesso, che raccontò con stupore la reazione del pubblico durante una proiezione a Venezia: "Non ho mai sentito urla del genere in vita mia... Semplicemente, amavano ogni centimetro di quella pellicola". La maestria dimostrata in questi laboratori creativi che erano i cortometraggi, unita alla loro risonanza internazionale, rese inevitabile il suo passaggio a formati narrativi più lunghi e complessi, dove la sua visione artistica avrebbe trovato piena maturità.

La Conquista del Lungometraggio (1923-1925)

Card n.303 DAS ORAMI - ALBUM - Dritte Serie

CIGARETTENFABRIK "ORAMI" DRESDA (1932)

(collezione personale)

Il passaggio al lungometraggio impose un cambiamento fondamentale nell'approccio di Buster Keaton alla comicità. Come lui stesso affermò, non era più possibile affidarsi a "gag da cartone animato" o a situazioni puramente farsesche. Un pubblico che seguiva una storia per più di un'ora doveva credere ai personaggi e alle loro vicende. Questo richiese un maggiore approfondimento psicologico, trame più credibili e una comicità radicata in situazioni drammatiche e realistiche, dove il pericolo era spesso tangibile.

Our Hospitality (1923)

La Fusione di Storia, Commedia e Dramma

Our Hospitality segnò una svolta, dimostrando che la comicità di Keaton poteva prosperare all'interno di una narrazione seria e storicamente accurata. Ambientato nel 1830 e basato su una faida familiare realmente esistita, il film vide Keaton intraprendere una meticolosa ricerca per garantire l'accuratezza di costumi, scenografie e oggetti di scena, arrivando a costruire una replica funzionante della locomotiva "Stephenson's Rocket". Questa fusione di storia, dramma e avventura culmina nella celebre sequenza della cascata, in cui il personaggio di Keaton, legato a una corda, si lancia per salvare la sua amata da un precipizio mortale. Lo stunt, eseguito personalmente da Keaton in condizioni di pericolo reale, non era una semplice acrobazia, ma un momento cruciale della narrazione, stabilendo un nuovo standard di spettacolarità dove il brivido e la storia diventavano inseparabili.

Sherlock Jr. (1924) 

L'Apice dell'Illusione Cinematografica

Ward Crane & Buster Keaton

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

In Sherlock Jr., Keaton esplora la natura stessa del cinema. La premessa  un proiezionista che sogna di entrare letteralmente nello schermo  diventa il pretesto per una delle sequenze tecnicamente più audaci dell'epoca. Mentre il suo personaggio cerca di inserirsi nella narrazione, la scena cambia bruscamente a ogni suo passo, catapultandolo da un salotto a una scogliera, da un giardino a una strada trafficata. Questa illusione non fu creata con la retroproiezione, non ancora inventata, ma con una precisione quasi scientifica: ogni set era reale, illuminato per sembrare uno schermo, e i movimenti di Keaton erano perfettamente sincronizzati con i tagli di montaggio grazie a misurazioni topografiche. Il film è anche una testimonianza della sua incredibile resistenza al dolore. Durante uno stunt presso una torre dell'acqua, il getto lo scaraventò violentemente sui binari sottostanti. Anni dopo, una radiografia rivelò che si era fratturato una vertebra cervicale. Come per l'infortunio di One Week, Keaton continuò a lavorare ignorando la gravità della lesione, un'abitudine per un uomo che, pur avendo "sempre lividi", non li considerava "importanti".

The Navigator (1924) 

Il Successo Commerciale e la Padronanza della Gag

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

Nato dalla semplice idea di mettere "due viziati" alla deriva su una nave deserta, The Navigator divenne il più grande successo commerciale di Keaton. Le riprese subacquee, girate nel gelido Lago Tahoe, misero a dura prova la sua resistenza fisica. Ma fu durante questo film che Keaton apprese una lezione fondamentale sulla comicità, che lui definì la "gag di protezione". Una costosa e complessa gag, che prevedeva 1.200 pesci di gomma che nuotavano in formazione, fallì miseramente alle anteprime. Poco dopo, una semplice gag in cui si lavava le mani in un secchio sul fondo del mare scatenò le risate. L'analisi di Keaton fu lucidissima: una gag, per quanto brillante, fallisce se interrompe l'obiettivo primario del personaggio, in questo caso salvare la ragazza. Questa intuizione, riassunta nella sua massima "il pubblico vuole che il suo comico sia umano, non intelligente", divenne il principio che elevò i suoi lungometraggi al di sopra delle semplici "gag da cartone animato". Il successo commerciale di The Navigator e la maestria tecnica dimostrata in Sherlock Jr. diedero a Keaton il capitale creativo e finanziario necessario per tentare imprese ancora più colossali e personali, spingendo la sua arte ai limiti estremi.

L'Apice dell'Indipendenza Creativa (1926-1928) 

Opere Epiche e l'Inizio di una Nuova Era

Questi anni rappresentano il culmine dell'autonomia artistica di Buster Keaton. Nel suo studio, libero da interferenze, realizzò il suo film più personale e portò la sua arte dello stunt a un livello di pericolo mai visto prima. Fu il canto del cigno della sua indipendenza, prima del fatidico e artisticamente deleterio passaggio alla Metro-Goldwyn-Mayer.

The General (1926) 

Il Capolavoro Incompreso

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

Keaton considerava The General il suo "preferito in assoluto", il film di cui era "più orgoglioso". La trama non era finzione, ma la ricostruzione fedele di un evento reale della Guerra Civile Americana, "The Great Locomotive Chase". Le riprese in Oregon furono un'impresa produttiva senza precedenti. Richiesero l'utilizzo di ferrovie a scartamento ridotto, l'ingaggio di 500 uomini della Guardia Nazionale come comparse, la costruzione di una diga per rendere un fiume sufficientemente scenografico e l'edificazione di un ponte di 215 piedi destinato a crollare sotto il peso di una vera locomotiva. La spettacolare scena del disastro ferroviario costò 42.000 dollari, rendendola la singola ripresa più costosa nella storia del cinema muto. Nonostante l'impegno, il film fu un insuccesso. Recensioni dell'epoca lo definirono "lungo e noioso" e "tutt'altro che divertente". Solo decenni dopo The General è stato universalmente riconosciuto come uno dei più grandi capolavori della storia del cinema.

Steamboat Bill, Jr. (1928) 

Il Canto del Cigno dell'Indipendenza

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

Steamboat Bill, Jr. fu l'ultimo grande film realizzato nello studio indipendente di Keaton e contiene forse lo stunt più iconico della storia del cinema. Il conflitto creativo con il produttore Joe Schenck, che considerava la sequenza finale dell'inondazione "troppo dolorosa" per il pubblico, costrinse Keaton a cambiarla in un ciclone, ricostruendo i set con un costo aggiuntivo di 35.000 dollari. Fu in questa sequenza che eseguì la prodezza mortale: la caduta della facciata di un edificio di due tonnellate su di lui, salvato solo dal vano di una finestra aperta. La precisione richiesta era assoluta, con un margine di errore di pochi centimetri per evitare di essere schiacciato. L'immagine di Keaton, impassibile di fronte a una catastrofe imminente, divenne il testamento della sua visione artistica senza compromessi, prima di cedere il controllo creativo al rigido sistema produttivo della MGM.

The Cameraman (1928) 

Un Capolavoro Contro il Sistema

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

La sua prima e artisticamente più riuscita opera alla MGM, The Cameraman, fu segnata da una costante battaglia contro il processo produttivo dello studio. Keaton trovò assurdo che per una trama semplice fossero stati assegnati "ventidue sceneggiatori" che la complicarono inutilmente. Bloccato a New York da una sceneggiatura impraticabile, dovette telefonare al capo della produzione, Irving Thalberg, per ottenere il permesso di "gettare il copione nel cestino" e girare il film a modo suo. Fu così che riuscì a inserire sequenze di pura genialità keatoniana, come quella (poi tagliata per deterioramento della pellicola) in cui, cercando di riprendere un ammiraglio, fotografa per errore il portiere di un albergo, o quella in cui una doppia esposizione mostra una corazzata navigare lungo la Fifth Avenue. La sua vittoria finale fu simbolica: la MGM insistette perché sorridesse nella scena finale, ma il pubblico dell'anteprima "odiò" la scena e la fischiò, costringendo lo studio a tagliare il sorriso. Fu l'ultima affermazione della sua maschera comica prima che il sistema la compromettesse definitivamente.

 L'Eredità di un'Epoca Irripetibile

Card n.69 FILM-KÜNSTLER AUS ALLER WELT

JASMATZI CIGARETTENFABRIK G. m. b. Dresden (1930)CARDS

(collezione personale)

In meno di un decennio, dal 1920 al 1928, Buster Keaton non si è limitato a produrre una serie di capolavori immortali, ma ha ridefinito il ruolo dell'autore cinematografico. Agendo come produttore, regista, sceneggiatore, montatore e protagonista, ha esercitato un controllo creativo totale che gli ha permesso di realizzare una visione artistica coerente e audace. La sua capacità di fondere comicità fisica, ingegno meccanico e profondità narrativa, unita a un coraggio fisico che rimane un punto di riferimento ineguagliato, ha segnato in modo indelebile la storia del cinema. L'epoca d'oro del suo studio indipendente non fu solo il suo apice personale, ma un momento irripetibile in cui la libertà creativa di un genio ha dato vita a un'arte senza tempo.

Il Suono e la Furia 

Declino e Lotte Personali (1928-1939)

Card n.180 RAMSES FILM BILDER ALBUM 1

ZIGARETTENFABRIK JASMATZI, Dresden (1930s)

(collezione personale)

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

Tra il 1928 e il 1939, Buster Keaton visse il periodo più oscuro della sua esistenza. La decisione di abbandonare la propria unità di produzione per firmare con la Metro-Goldwyn-Mayer segnò l’inizio di una dolorosa perdita di autonomia artistica. Da regista e autore libero, si ritrovò ingabbiato in una macchina industriale che gli imponeva sceneggiature prefabbricate e registi che gli dettavano persino come cadere, un’umiliazione per chi aveva elevato la caduta a linguaggio poetico. Keaton stesso definì quella scelta “il peggior errore della mia vita”, e non a torto, il passaggio al sonoro, che egli disprezzava per la sua comicità verbale, lo mise ulteriormente ai margini. Sul piano personale, il divorzio da Natalie Talmadge e la dipendenza dall’alcol lo trascinarono in una spirale autodistruttiva. Il licenziamento da parte di Louis B. Mayer, dopo un acceso scontro sul set, fu il colpo di grazia. Seguì un periodo di cortometraggi minori e ricoveri in sanatorio, in cui il genio comico sembrava ormai spento.
Ma dal 1940 in poi, Keaton visse una sorprendente rinascita. Il matrimonio con Eleanor Norris fu il punto di svolta, con il suo sostegno, riuscì a liberarsi dall’alcol e a ritrovare una stabilità affettiva e professionale. Tornò alla MGM, non più come star ma come gagman, collaborando con comici come Red Skelton con umiltà e dedizione. Negli anni ’50, la televisione lo riscoprì, valorizzando la sua pantomima silenziosa in un nuovo contesto. L’Europa lo celebrò come leggenda vivente, e anche l’America rivalutò la sua opera, culminando con il cameo in Sunset Boulevard. 

Card n.384 RAMSES FILM BILDER ALBUM 3

ZIGARETTENFABRIK JASMATZI, Dresden (1930s)

(collezione personale)

Negli ultimi anni, Keaton visse serenamente, dedicandosi al giardinaggio e a un trenino in miniatura, mentre la critica riconosceva nella sua arte una forma di poesia slapstick: un equilibrio sublime tra caos e controllo, tra comicità e malinconia. La sua faccia impassibile, lungi dall’essere vuota, divenne il simbolo di una profonda umanità, e il suo lascito si consolidò come quello di uno dei più grandi maestri della storia del cinema.


HAROLD LLOYD

Stile e Innovazione nello Slapstick di Harold Lloyd

Nel pantheon della comicità muta, Harold Lloyd è universalmente riconosciuto come il "Terzo Genio", una figura posta accanto a Charlie Chaplin e Buster Keaton. Tuttavia, la sua eredità è spesso cristallizzata in un'unica, vertiginosa immagine: quella di un giovane con gli occhiali appeso alle lancette di un orologio, sospeso nel vuoto sulla facciata di un grattacielo nel film Safety Last! (1923).

Scena dal film Safety Last! (1923) 

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

Questa icona, pur essendo una delle più potenti della storia del cinema, ha paradossalmente limitato la comprensione della sua arte, riducendolo al ruolo di audace acrobata. Lo scopo di questo approfondimento è quello di analizzare le componenti stilistiche e le innovazioni narrative che hanno definito il suo periodo slapstick, sostenendo che la sua vera genialità non risiede tanto nell'esecuzione di acrobazie mozzafiato, quanto nella rivoluzionaria creazione di una comicità basata sul personaggio e sull'identificazione del pubblico, un'architettura comica che avrebbe gettato le fondamenta per il cinema di genere moderno.

Card n.100 - MONOPOL FILM - BILDER

CIGARETTENFABRIK MONOPOL G.m.b.H., Dresden, Germany (1930)

(collezione personale)

Le Origini di una Rivoluzione

Il Rifiuto dello Slapstick Tradizionale

"Courtesy of the Media History Digital Library"

Motion Picture Herald (1931)

Comprendere le prime fasi della carriera di Harold Lloyd è un passo strategico essenziale per decifrare la sua successiva evoluzione artistica. La sua profonda insoddisfazione per i modelli comici dominanti non fu un semplice capriccio, ma il catalizzatore fondamentale che innescò la sua spinta innovatrice. Questa inquietudine rappresentò una vera e propria rottura filosofica con lo slapstick dell'epoca, gettando le basi per un paradigma comico interamente nuovo. 

"Courtesy of IMDb.com"

Il primo personaggio di successo di Lloyd fu "Lonesome Luke", una palese, sebbene commercialmente fortunata, imitazione del Vagabondo di Chaplin. Nonostante la popolarità derivante da oltre cento cortometraggi, Lloyd percepì presto questo personaggio come un vicolo cieco creativo. Egli stesso definì questo stile come uno "slapstick pesante e grossolano", basato su trame esili e gag prevedibili. Sentiva di essere intrappolato in una variazione su un tema chapliniano, un ruolo che non gli permetteva di esprimere una propria, autentica visione della comicità. Questa insoddisfazione culminò in una domanda retorica che può essere considerata il suo manifesto artistico: "Perché essere anormali? Perché non provare la normalità?". 

Card n. 13 - PERSONALITIES OF TO-DAY

GODFREY PHILLIPS LTD (1932)

(collezione personale)

In un'epoca in cui la comicità cinematografica si fondava su "personaggi grotteschi, eccentrici, la cui ilarità derivava dalla loro stessa anormalità", questa affermazione era rivoluzionaria. Lloyd contrastava direttamente il paradigma dominante, proponendo di generare umorismo da situazioni realistiche e da personaggi con cui il pubblico potesse non solo ridere, ma anche identificarsi. Era un concetto radicale per gli anni '10, un'intuizione che avrebbe spostato l'asse della comicità dalla maschera alla persona. Questa ribellione estetica contro l'imitazione e il grottesco esigeva la creazione di un veicolo comico radicalmente nuovo, un'esigenza che trovò la sua risposta definitiva nella nascita del "Glasses Character".

La Nascita dell'Everyman 

Il "Glasses Character" come Motore Narrativo

Card n.70 SALEM GOLD-FILM-BILDER ALBUM 1

SALEM CIGARETTENFABRIK - DRESDEN (1934)

(collezione personale)

La creazione del "Glasses Character" nel 1917 non fu un semplice cambio di costume, ma un atto deliberato e strategico che trasformò la commedia muta. Con questo personaggio, lo slapstick cessò di essere una mera sequenza di gag sconnesse per diventare un sofisticato mezzo di narrazione, capace di sostenere trame complesse e di generare un profondo investimento emotivo da parte del pubblico. Il nuovo personaggio fu concepito come l'antitesi di Lonesome Luke: un "giovane americano medio e riconoscibile", un ragazzo della porta accanto che incarnava lo spirito ottimista e ambizioso dell'America degli anni Venti. 

Card n.15 CINEMA STARS

 W.D. & H.O. WILLS (1928)

(collezione personale)

Il suo unico marchio di fabbrica era un paio di occhiali rotondi con montatura di corno. Questo semplice accessorio non era solo un tratto distintivo, ma un simbolo potente, suggeriva una personalità "tranquilla, normale, giovanile, pulita, simpatica" e fungeva al contempo da "maschera al contrario", permettendo a Lloyd di godere di un quasi totale anonimato nella vita privata. La normalità e la flessibilità di questo personaggio che poteva essere ricco o povero, sognatore o sofisticato  permisero a Lloyd di andare oltre i confini del semplice slapstick. Permettendo al pubblico di identificarsi e preoccuparsi sinceramente del destino di "The Boy", Lloyd poté costruire trame più lunghe e articolate. Questo spostamento dall'ilarità momentanea allo sviluppo del personaggio pose le basi per la commedia moderna. 

Poster del Film (1922) "Wikipedia"

Il film Grandma's Boy (1922) è considerato un'opera pionieristica in questo senso, essendo tra i primi a riuscire nella combinazione di "sviluppo complesso del personaggio e commedia cinematografica". Nell'agosto del 1919, un incidente con una bomba di scena gli causò la perdita del pollice e dell'indice della mano destra. Lloyd nascose la menomazione per tutta la vita indossando uno speciale guanto protesico, temendo che il pubblico potesse guardare i suoi film per pietà anziché per divertimento. Questa determinazione a continuare a eseguire acrobazie pericolose "praticamente con una mano sola" creò una perfetta e potente sovrapposizione tra l'uomo e l'artista. La sua personale storia di superamento di un ostacolo devastante conferì un'incredibile autenticità ai trionfi dei suoi personaggi sullo schermo, trasformando l'attore nell'incarnazione stessa del suo eroe. 

Scena dal film Grandma's Boy (1922) 

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

Questo nuovo personaggio, forgiato nella normalità e temprato dalle avversità reali, divenne così il veicolo perfetto per il genere che avrebbe definito la sua fama: la "thrill comedy".

Analisi dello Stile

La Fusione di Brivido, Narrazione e Gag

Gli anni '20 rappresentano l'apice della carriera di Harold Lloyd, il decennio in cui perfezionò una formula stilistica unica e di enorme successo. In questa fase, egli seppe fondere magistralmente acrobazie pericolose, costruzione della suspense e sviluppo narrativo, dando vita a un genere coeso e innovativo. Analizzare questa formula significa decostruire l'architettura stessa della sua comicità. Lloyd è uno dei pionieri della "thrill comedy", un genere che fonde acrobazie da capogiro, inseguimenti e comicità fisica. Tuttavia, la sua efficacia non derivava dal pericolo fine a se stesso. A differenza dell'invulnerabilità surreale di Keaton, il brivido nei film di Lloyd era generato dall'empatia del pubblico per un "everyman" vulnerabile, un uomo comune gettato in una situazione straordinaria. La suspense non era un semplice spettacolo, ma un potente dispositivo narrativo che amplificava la posta in gioco emotiva della storia.

HÄNSOM CIGARETTE dall'Album FILM KUNSTLER AUS ALLER WELT (1931)

(collezione personale)

Un esempio paradigmatico è Safety Last! (1923), la cui trama, incentrata su una finzione per impressionare la fidanzata, culmina nell'iconica scalata di un grattacielo. Questa sequenza è una lezione magistrale nella costruzione della tensione, in cui ogni piano presenta un nuovo ostacolo. Quando un gruppo di piccioni assale il protagonista, per esempio, lo spettatore sperimenta un duplice registro emotivo: il terrore per una caduta potenzialmente fatale si fonde con la risata per l'assurdità della situazione, dimostrando come Lloyd rendesse indissolubile il legame tra comicità e suspense. Oltre alla prodezza tecnica, la scalata è diventata una potente metafora visiva dell'uomo comune che lotta per raggiungere il Sogno Americano, un'immagine entrata nell'immaginario collettivo. 

Lobby Card The Freshman (1925)

 "Courtesy of the site Doctormacro.com"

Nel film The Freshman (1925), suo maggior successo commerciale, Lloyd esplora temi universali come l'ansia sociale e il desiderio di accettazione. Il protagonista, "Speedy", cerca disperatamente di diventare l'idolo del college, e lo slapstick viene utilizzato con grande sensibilità per esplorare questo conflitto interiore. Ogni sua goffa caduta o tentativo fallito di apparire disinvolto non è una semplice gag, ma la rappresentazione fisica della sua inadeguatezza e del suo disagio sociale, rendendo il film sorprendentemente moderno e relazionabile. 

Card n.6 - STAGE AND FILM STARS (FOUR ACES)

W.D. & H.O. WILLS

(collezione personale)

La versatilità dello stile di Lloyd è ulteriormente confermata da altre opere fondamentali. ll film Grandma's Boy ha precorso i tempi fondendo lo slapstick con una narrazione sentimentale; Girl Shy del 1924 ha stabilito un modello per la commedia d'azione con il suo frenetico inseguimento finale; e il suo capolavoro critico, The Kid Brother (1927), raggiunge un equilibrio sublime tra umorismo, pathos e azione. Per comprendere appieno l'unicità di questo stile, tuttavia, è essenziale confrontarlo con quello dei suoi più grandi contemporanei.

Lo Stile di Lloyd a Confronto

Una Prospettiva sul Triumvirato del Genio

Per isolare e definire il contributo unico di Harold Lloyd alla comicità, è indispensabile un'analisi comparativa con Charlie Chaplin e Buster Keaton. Sebbene la storia del cinema li abbia giustamente raggruppati in un "triumvirato del genio", i loro approcci alla costruzione del personaggio, allo stile comico e alla visione del mondo erano profondamente divergenti. Questo confronto non serve a stabilire una gerarchia, ma a illuminare la specificità di ciascun maestro.

La tabella evidenzia una distinzione fondamentale: mentre Chaplin e Keaton erano archetipi unici, quasi mitologici, il "Glasses Character" di Lloyd era lo specchio del suo pubblico. Fu il "comico borghese" per eccellenza, un giovane ambizioso che cercava il successo all'interno del sistema, non ai suoi margini. Il pubblico si identificava con l'ambizione di Lloyd, provava una commiserazione solidale per l'emarginazione di Chaplin e ammirava con sbalordito stupore la prodezza tecnica di Keaton. Sebbene Chaplin e Keaton possano essere considerati autori più singolari, con una visione del mondo più critica o esistenziale, l'influenza di Harold Lloyd sulla struttura della commedia di genere popolare è stata probabilmente più pervasiva e fondamentale.

 

Card n.77 - FILM-KÜNSTLER AUS ALLER WELT

JASMATZI CIGARETTENFABRIK G. m. b. Dresden (1930)

(collezione personale)

L'archetipo del protagonista comico moderno  l'uomo comune, relazionabile, ambizioso e spesso impacciato che domina il cinema mainstream da un secolo, discende direttamente dal modello che lui ha creato e perfezionato. L'unicità del suo stile, radicata nell'ottimismo e nell'identificazione, ha garantito al suo lavoro un'eredità tanto duratura quanto quella dei suoi illustri colleghi.

Il Terzo Genio

L'Eredità dello Slapstick basato sul Personaggio

Card n.12 - CINEMA STARS

GALLAHER LTD (1926)

(collezione personale)

Harold Lloyd è stato un architetto della narrazione comica. Come abbiamo visto, la sua rivoluzione è iniziata con un rifiuto consapevole dello slapstick grottesco, culminando nella creazione dell' "everyman", il "Glasses Character". Questa figura, normale e ambiziosa, ha permesso a Lloyd di trasformare la comicità da una semplice sequenza di gag a una forma di narrazione sofisticata, capace di integrare suspense, sviluppo del personaggio e un profondo legame empatico con il pubblico. La sua eredità, quindi, non risiede solo nelle sue iconiche e vertiginose acrobazie, ma è impressa nel DNA della commedia moderna. 

"Courtesy of the Media History Digital Library" Motion News (1933)

È visibile nell'archetipo dell'eroe comune che, armato di nient'altro che tenacia e ottimismo, affronta situazioni straordinarie e alla fine trionfa contro ogni probabilità. 

Questa è la firma indelebile del "Terzo Genio".


STAN LAUREL & OLIVER HARDY

Maestri dello Slapstick lento

Prima che il cinema imparasse a parlare, Stan Laurel e Oliver Hardy avevano già insegnato al mondo a ridere. Con una bombetta, uno sguardo esasperato e una scala impossibile da salire, hanno trasformato la comicità fisica, lo slapstick in una forma d’arte.
Ma il loro slapstick non era solo cadute e torte in faccia. Era una danza lenta e metodica tra innocenza e pomposità, tra caos e dignità. Stanlio, con la sua logica infantile e disarmante, e Ollio, con la sua vanità borghese sempre sul punto di crollare, incarnavano un equilibrio perfetto: il disastro come destino, la frustrazione come poesia.
Questo articolo ripercorre la loro storia attraverso il prisma del loro stile comico: dalla prima gag in The Lucky Dog fino all’ultima ovazione nei music hall europei. Analizzeremo le tecniche, le dinamiche e il ritmo che hanno reso il loro slapstick unico non solo una serie di gag, ma una grammatica della risata che ancora oggi parla al pubblico di ogni età.

Un Fortunato Incontro

The Lucky Dog (1921): Dove tutto ebbe inizio

"Courtesy of imbd.com" Poster (1921)

A volte, la storia del cinema nasce da un caso. È il 1921 quando Stan Laurel e Oliver Hardy appaiono per la prima volta insieme sullo schermo, senza saperlo, in un cortometraggio intitolato The Lucky Dog. Il film, prodotto da G.M. “Broncho Billy” Anderson, era stato pensato come veicolo per il solo Laurel. Hardy fu scritturato quasi per caso, in un ruolo secondario: quello di un maldestro bandito baffuto.
Eppure, in quella manciata di minuti, accade qualcosa di straordinario. La scena in cui Hardy punta la pistola contro Stan e gli ordina “Mani in alto!” è già un piccolo capolavoro di comicità slapstick. Stan, che tiene in braccio un cagnolino, interpreta l’ordine con una logica tutta sua: alza prima una mano, poi l’altra, e infine, per poter obbedire del tutto, porge il cane allo stesso rapinatore. Il gesto è assurdo, tenero, perfettamente calibrato nei tempi. E soprattutto: fa ridere.
Quella gag, nata senza alcuna premeditazione, contiene già in nuce l’intera grammatica comica che avrebbe definito il duo per i decenni a venire. Non è solo una battuta visiva: è una dichiarazione d’intenti. Stan è l’innocente che complica l’ovvio con candore disarmante; Ollie è l’autorità frustrata, destinata a soccombere al caos.
Non c’è ancora un regista a orchestrare la loro dinamica, né uno studio a costruire il loro mito. Eppure, tutto è già lì: la lentezza esasperante, la logica surreale, la tensione che cresce fino all’inevitabile crollo. È la prova che la loro comicità non fu inventata, ma scoperta. Come un minerale raro, esisteva già sotto la superficie, in attesa di essere portata alla luce.

The Lucky Dog non è solo un cortometraggio: è un battito d’ali che anticipa una tempesta di risate. È il primo passo di una delle coppie comiche più amate di tutti i tempi. E come ogni grande inizio, avviene per caso ma lascia un segno indelebile.

 La Nascita del Duo

Gli anni agli Hal Roach Studios (1926–1940)

Card n.7 CINEMA STARS 3rd SERIES

W.D. & H.O. WILLS (1931)

(collezione personale)

Dopo il fortunato incontro in The Lucky Dog, Stan Laurel e Oliver Hardy percorsero strade separate per alcuni anni. Stan lavorava come autore e regista, Ollie come attore a contratto. Entrambi gravitavano attorno agli Hal Roach Studios, una fucina di talenti comici soprannominata “The Lot of Fun”.
Fu un incidente domestico a rimetterli sullo stesso set: Hardy si ustionò con un cosciotto d’agnello e fu costretto a letto. Stan lo sostituì in una produzione, e da quel momento le loro traiettorie non si separarono più. Il supervisore Leo McCarey, regista e fine osservatore, intuì subito la loro alchimia. Non si trattava solo di due attori divertenti: insieme, generavano qualcosa di unico.
McCarey iniziò a costruire attorno a loro una struttura comica precisa, basata sulla “tit-for-tat”  (la distruzione reciproca metodica)  e su una dinamica di frustrazione crescente. Stan era l’innocente che complicava tutto, Ollie il borioso che cercava di mantenere il controllo. Il pubblico rideva non solo delle gag, ma del rapporto tra i due.
Le prime opere ufficiali come duo arrivarono nel 1927 con cortometraggi come Putting Pants on Philip e The Second Hundred Years. La loro comicità era già matura: gesti, sguardi, tempi comici perfetti. Ma fu con l’arrivo del sonoro che il duo esplose davvero.
A differenza di molte star del muto, Stan Laurel e Oliver Hardy si adattarono perfettamente ai “talkies”. Le loro voci non tradivano i personaggi, ma li arricchivano: Stan con il suo accento britannico gentile e svagato, Ollie con il tono pomposo e meridionale, perfetto per la sua vanità. Il suono diventò parte integrante della gag  non solo parole, ma rumori, sospiri, silenzi comici.
In quegli anni, il duo non era solo una coppia comica: era una macchina perfetta per generare risate. E sotto la guida invisibile ma decisiva di Stan Laurel  che scriveva, montava, dirigeva dietro le quinte  nacque una delle più grandi leggende della storia del cinema.

L’Arte dello Slapstick

Frustrazione, innocenza e lentezza

Card n.9 - STARS OF SCREEN & STAGE

PARK DRIVE - GALLAHER Ltd. (1926)

(collezione personale)

Nel mondo di Stan Laurel e Oliver Hardy , lo slapstick non è una corsa frenetica verso la risata, ma una marcia lenta e inesorabile verso il disastro. A differenza dei Keystone Cops o di Mack Sennett, che puntavano su velocità e caos, Laurel e Hardy rallentano tutto: il ritmo, la reazione, persino la caduta. E in quella lentezza, costruiscono tensione, aspettativa, poesia comica.
La loro comicità è fatta di frustrazione e innocenza. Stan è l’innocente infantile, un uomo il cui pensiero segue una logica tutta sua, candida e disarmante. Ollie è il borioso prepotente, convinto di avere il controllo, ma destinato a perderlo ogni volta. Il loro rapporto è una sinfonia di fallimenti: Stan complica, Ollie si esaspera, il pubblico ride.
Ogni gag è costruita come una partitura musicale. I gesti non sono casuali, ma ricorrenti, riconoscibili, attesi. Lo sguardo in camera di Hardy  quel momento in cui rompe la quarta parete e ci chiede complicità  è una pausa drammatica, un respiro comico. Il pianto di Stan, acuto e infantile, è una nota di vulnerabilità che spezza la scena. Il giocherellare con la cravatta di Ollie è un tic che rivela vanità, imbarazzo, tentativo di controllo.
Questi elementi non sono semplici dettagli: sono segni comici, parte di un linguaggio che Laurel e Hardy hanno codificato. Il pubblico non ride solo della situazione, ma del modo in cui viene costruita. La gag non esplode: si accumula, si stratifica, si lascia intuire. È una commedia della frustrazione, dove l’attesa è divertente quanto la catastrofe.
E poi c’è la lentezza. In Big Business, la distruzione di una casa avviene a turni, con calma rituale. In The Music Box, il trasporto del pianoforte su per la scalinata diventa un’odissea. Ogni passo è una sfida, ogni inciampo una sinfonia. Laurel e Hardy capiscono che il tempo comico non è solo ritmo: è ritardo, anticipazione, sospensione.
Il loro slapstick è una danza. Non corrono, non urlano, non inseguono. Camminano, esitano, si guardano. E in quel tempo dilatato, ci invitano a ridere non del dolore, ma della fragilità umana. Perché in fondo, Stan e Ollie siamo noi: goffi, vanitosi, ingenui, ma sempre capaci di far ridere anche quando tutto va storto.

Il Suono della Comicità

Quando il suono diventò gag

Nel passaggio dal muto al sonoro, molti comici persero il ritmo. Stan E Oliver, invece, lo trovarono. E lo trasformarono in musica comica. Il sonoro non fu solo un’aggiunta tecnica, fu una nuova grammatica della risata. Ogni rumore il CRUNCH di una bombetta schiacciata, lo SPLAT di una torta in faccia, il BOINK di una ditata negli occhi diventò parte integrante della gag. Le loro voci si fusero con i personaggi, Stan con un tono piagnucoloso e svagato, Ollie con un’imponente voce da basso, pomposa e frustrata.
Ma il vero miracolo avvenne fuori dagli Stati Uniti, e in particolare in Italia, dove il doppiaggio di Stanlio E Ollio divenne un caso unico nella storia del cinema.

Recitare senza capire

 "Courtesy of the site Doctormacro.com"

Nel 1929, con l’arrivo del sonoro, nacque un problema: come esportare film parlati in un mondo che parlava lingue diverse? Il doppiaggio era ancora grezzo, la sottotitolazione poco gradita (spesso il pubblico non sapeva leggere neppure le didascalie dei film muti). La soluzione? Girare versioni alternative degli stessi film, in più lingue.
Laurel E Hardy, però, non potevano essere sostituiti da attori madrelingua. Così nacque la recitazione fonetica: i due imparavano le battute in italiano, spagnolo, francese o tedesco leggendo da gobbi posti dietro la cinepresa, senza capirne il significato. Il risultato era surreale, esilarante, spesso incomprensibile e proprio per questo irresistibile.

Poster del Film abebooks.com

In Italia, il film Muraglie (1931), versione fonetica di Pardon Us, fu un successo travolgente. Stan e Ollie recitavano in un italiano improbabile, pieno di storpiature e accenti sbagliati. Il celebre “stupìdo!” pronunciato da Stanlio divenne leggenda, un tormentone che ancora oggi fa sorridere.

Negli anni ’30, il regime fascista impose regole rigide sull’italianizzazione del doppiaggio: niente inflessioni straniere, niente accenti regionali, solo italiano “pulito”. Eppure, Stanlio E Ollio sfuggirono a questa norma. Non furono semplicemente tollerati: furono acclamati. Il pubblico li adorava così com’erano buffi, sgrammaticati, stranieri e irresistibili.
La loro parlata anglo-italiana divenne parte integrante del personaggio. Quando il doppiaggio fu perfezionato nel 1933, la MGM decise di mantenere quella buffa voce solo per loro, doppiando in italiano corretto tutto il resto del cast. Era un’eccezione clamorosa, una vittoria della risata sulla rigidità ideologica.

Nel tempo, molte voci hanno dato vita a Stanlio E Ollio per il pubblico italiano. Prima della celebre coppia Mauro Zambuto (Stanlio) e Alberto Sordi (Ollio), si alternarono studenti, attori e doppiatori pionieri, spesso rimasti nell’ombra ma fondamentali per costruire la loro identità vocale.
Derek Fortrose Allen e Paolo Canali furono tra i primi doppiatori ufficiali della coppia negli anni ’30. Allen, studente britannico, prestò la voce a Stanlio con un tono acuto e scolastico; Canali, più teatrale, interpretava Ollio con una voce profonda e autoritaria.
A Allen subentrò Carlo Cassola (omonimo dello scrittore), che formò con Canali una coppia stabile fino al 1938, contribuendo a consolidare la musicalità comica del duo.
Quando Zambuto tornò in sala di doppiaggio, si ritrovò accanto un giovane trasteverino di 19 anni: Alberto Sordi, che con la sua voce da basso teatrale rese Ollio indimenticabile.
Queste voci non imitavano gli originali, ma reinventavano Stanlio e Ollio per il pubblico italiano. Le inflessioni, le storpiature, le pronunce sbagliate non erano difetti: erano caratterizzazioni, diventate parte integrante della gag. E proprio per questo, quando il doppiaggio fu regolamentato, nessuno osò “correggerli”. Il pubblico li voleva così: imperfetti, buffi, irresistibili.

I Capolavori e "non" degli Anni ’30

Dopo aver mosso i primi passi e aver consolidato la loro inimitabile alchimia nel cinema muto, per Stan Laurel e Oliver Hardy arrivano gli anni '30. Questa è la loro "Età d'Oro", un decennio in cui la loro arte raggiunge l'apice assoluto, ma che allo stesso tempo li costringe ad affrontare la più grande sfida della loro carriera.
Per capire questi capolavori, bisogna prima capire la "fabbrica" da cui provenivano. Gli studi di Hal Roach, grazie a un accordo di distribuzione con la potente MGM, erano una sorta di anomalia di lusso a Hollywood. Garantivano ai film di Laurel e Hardy, persino ai cortometraggi, una qualità tecnica e valori produttivi che i loro concorrenti semplicemente non avevano.
Ma il vero segreto di quel successo non era il produttore, Hal Roach; era l'architetto nascosto, Stan Laurel. 

Card n.162 Farb-Filmbilder

Haus Bergmann cigarettes in Germany (1934)

Sebbene i film avessero dozzine di registi accreditati, l'unico vero autore era Stan. Era lui che ideava le gag, supervisionava la scrittura, dirigeva le scene e passava nottate al montaggio. È per questo che ogni loro film, da un corto di venti minuti a un lungometraggio, ha uno stile e un ritmo inconfondibili. Lo stile era Stan.
Il decennio, però, si apre con una crisi: l'industria sta cambiando. Il pubblico non vuole più i cortometraggi, ma chiede "doppi spettacoli" (due film lunghi al prezzo di uno). Questo costringe Hal Roach a spingere il duo, la cui arte era perfetta per i 20 minuti, verso il formato del lungometraggio. E questa tensione, questa battaglia tra la gag pura e le esigenze della trama, definirà tutti i loro capolavori.

Prendiamo il 1932. Proprio mentre il formato corto sta morendo, Laurel e Hardy rilasciano il suo testamento artistico.

The Music Box. È il loro capolavoro assoluto in forma breve, e non a caso vince un Oscar. La premessa è la quintessenza della loro comicità: un compito semplice (consegnare un pianoforte) reso impossibile da un universo ostile (un'interminabile rampa di scale). Non è solo una gag; è una metafora perfetta della fatica di Sisifo, un ciclo infinito di sforzo inutile. Sostituire l'oggetto del loro corto muto (una lavatrice) con un pianoforte fu un colpo di genio sonoro: ogni caduta, ogni urto, produce una cacofonia comica. The Music Box è l'apice, la vetta artistica da cui, paradossalmente, l'industria li stava costringendo a scendere.
Come si traduce quella perfezione in un film di 60 o 80 minuti? La risposta, e il loro trionfo, è Sons of the Desert (I figli del deserto) del 1933. Questo è il loro lungometraggio perfetto, e lo è perché, in realtà, è un "corto gonfiato". Stan riesce a resistere alle tentazioni narrative che odiava. Non ci sono sottotrame romantiche inutili o numeri musicali forzati. È una singola, brillante premessa comica (due mariti bugiardi che cercano di sfuggire alle mogli per andare a una convention) tirata fino alle sue estreme, catastrofiche conseguenze. Se The Music Box era una lotta fisica contro la gravità, Sons of the Desert è una lotta mentale contro l'autorità domestica, dove i "ragazzi" (uomini-bambini) si scontrano con le loro mogli (le uniche vere adulte della storia). Il film è talmente iconico che l'associazione mondiale di appassionati, fondata con la benedizione di Stan, si chiama proprio "The Sons of the Desert".
Ma non tutte le battaglie furono vinte così facilmente.

"Courtesy of the site Doctormacro.com"

Card n.46 FILM EPISODES

GALLAHER Ltd. (1936)

(collezione personale)

La maggior parte degli altri lungometraggi mostra i segni della lotta, e Bonnie Scotland (Gli allegri eroi) del 1935 ne è l'esempio più lampante. Il titolo stesso è un inganno: l'azione si sposta quasi subito dalla Scozia (dove Stan si reca per un'eredità che si rivela essere solo una cornamusa e una tabacchiera) all'India. Il film è l'emblema del problema della "trama contro la gag". La comicità di Laurel e Hardy è relegata ai "tempi morti" tra le scene di una complessa e noiosa sottotrama romantica. I loro momenti migliori sono gag isolate, come una graziosa sequenza di ballo improvvisata mentre spazzano il cortile, che non hanno nulla a che fare con la storia principale. Il film è così disinteressato alla sua stessa narrazione che si dimentica persino di risolvere la storia d'amore, concludendosi bruscamente con una gag in cui il duo disperde i nemici lanciando alveari.
Bonnie Scotland fa il paio con altri ibridi stranianti come Fra Diavolo (1933) o Babes in Toyland (1934). 

Card n. 9 FAMOUS FILM SCENES

GALLAHER Ltd. (1935)

(collezione personale)

In questi film, lo studio aveva pagato molto per i diritti di operette famose, e la "star" non erano Laurel e Hardy, ma la musica e la trama "seria". In Fra Diavolo, il duo non appare nemmeno per i primi 15 minuti; in Babes in Toyland, sono quasi personaggi secondari nella loro stessa fiaba. In tutti questi casi, l'arte di Stanlio e Ollio non guida la trama, ma esiste nonostante essa.

L'eccezione che conferma la regola, l'anomalia che funziona magicamente, è Way Out West (I fanciulli del West) del 1937. Questo film è un capolavoro perché il genere che sta parodiando, il western musicale è già intrinsecamente assurdo e frammentario. Questo diede a Stan il permesso di fare ciò che amava: fermare la trama per momenti di pura gioia comica. E così, nel bel mezzo del film, la narrazione si interrompe per regalarci la loro immortale danza soft-shoe fuori dal saloon. Non ha alcuna utilità per la trama, ed è proprio per questo che è geniale. È pura gioia.

Card n.67 THE FILM STAR

CARRERAS LIMITED (1934)

(collezione personale)

L'Età d'Oro di Laurel e Hardy, quindi, non fu solo una parata di successi. Fu una battaglia costante, combattuta da Stan Laurel per proteggere l'integrità della risata dalle esigenze dell'industria. I capolavori che amiamo e che sono diventati "reliquie" di un'epoca sono le vittorie di quella battaglia: film dove il loro genio è riuscito a trionfare, trasformando la fatica, la frustrazione e persino la musica in arte immortale.

L’ultima risata, il ricordo eterno

Dopo un decennio d’oro, il sipario comincia lentamente a calare. Con il passaggio agli anni ’40, Stan Laurel E Oliver Hardy lasciano gli Hal Roach Studios, il laboratorio creativo che aveva permesso loro di modellare ogni gag, ogni silenzio, ogni sguardo in camera. Nei grandi studios, diventano attori a contratto, privati del controllo sulle sceneggiature e sul montaggio. I film di questo periodo come Great Guns o The Big Noise sono più rigidi, meno ispirati. È l’inizio degli anni del deserto, in cui la spontaneità lascia spazio alla routine.
Nel 1951 arriva Atoll K, il loro ultimo film. Una produzione francese caotica, una sceneggiatura confusa, problemi di salute che si riflettono sullo schermo. Stan è stanco, Ollie è visibilmente provato. Il film è un epilogo malinconico, che non rende giustizia alla loro grandezza. Ma anche in mezzo al naufragio, si intravede ancora la tenerezza del gesto, la complicità del duo, la volontà di far ridere sempre.
Eppure, il cinema non è l’unico palcoscenico. Negli anni ’50, Stan e Ollie tornano al teatro, girando l’Europa come due vecchi amici in tournée. A Cobh, in Irlanda, vengono accolti da folle festanti e dalle campane che suonano The Dance of the Cuckoos. 

È un momento di pura emozione: la gente non applaude solo i comici, ma gli uomini, i volti familiari che hanno portato gioia per decenni. Stan piange. Ollie sorride. È l’ovazione che chiude una vita intera.
Ma il vero finale non è sul palco. È nella memoria collettiva. Nel 1964 nasce il fan club Sons of the Desert, con la benedizione di Stan Laurel. Il motto è “Two minds without a single thought”  due teste senza cervello, ma la celebrazione è piena di affetto, di rispetto, di dignità a metà, come direbbe Stan. La loro comicità non invecchia, perché non è mai stata cinica. È fatta di gesti puri, di errori innocenti, di amicizia ostinata.

Card n.56 BUNTE FILMBILDERCIGARETTEN

BILDERDIENST - DRESDEN (1936)

(collezione personale)

Laurel e Hardy non ci chiedono di ridere di loro, ma con loro. E in ogni figurina, in ogni fotogramma, in ogni sguardo storto e cravatta sistemata, ci parlano ancora. Non di gag, ma di umanità.


PAT & PATACHON (Fy og Bi)

Anatomia di un Fenomeno Slapstick Transnazionale

Se lo slapstick è l’arte della catastrofe controllata, allora Pat & Patachon ne sono stati i filosofi erranti. Dopo aver esplorato le radici teatrali e circensi della comicità fisica, questo capitolo conclusivo ci conduce nel cuore di un fenomeno che ha attraversato confini, lingue e culture: il duo danese Fy og Bi, meglio conosciuto come Pat & Patachon. Non solo pionieri della comicità visiva, ma anche simboli di una poetica del vagabondaggio che ha saputo sfidare le logiche del mercato e del progresso tecnologico. Un viaggio tra estetica, industria e fragilità umana, che chiude il cerchio aperto con il batacchio di Arlecchino.

Oltre la Malinconia

Le Origini Disparate dei Poeti Vagabondi

Card n.51 BUNTE FILMBILDERCIGARETTEN

BILDERDIENST - DRESDEN (1936)

(collezione personale)

Nel pantheon della comicità cinematografica, la formula del "duo" comico si basa spesso su un'affinità istintiva. Tuttavia, nel caso di Pat & Patachon, (noti in patria come Fy og Bi), la loro chimica unica non derivava da somiglianze, ma da un'attenta fusione di opposti, orchestrata da un regista-demiurgo. I due uomini che sarebbero diventati i vagabondi più famosi d'Europa provenivano da percorsi performativi radicalmente diversi.

Carl Schenstrøm (Pat)

Card n.40 - SPORT CIGARETTES 2

 Chr. AUGUSTINUS (1920s)

Nato nel 1881 , Carl Schenstrøm non era un artista nato. Le sue origini affondavano nella classe artigiana: suo padre era un idraulico  e la sua formazione iniziale fu quella di rilegatore. L'esperienza formativa più significativa della sua giovinezza non fu il palcoscenico, ma l'emigrazione. All'età di otto anni, si trasferì con la famiglia a Chicago, dove visse per quattro anni e imparò l'inglese. Il fallimento di questa avventura americana e il successivo ritorno in Danimarca  potrebbero aver informato la sua futura persona scenica di vagabondo disilluso, ma intrinsecamente dignitoso.   Schenstrøm arrivò al teatro relativamente tardi, nel 1904 , e al cinema nel 1909, presso la Nordisk Film. Per anni fu relegato a ruoli di comparsa e piccole parti. La sua svolta avvenne solo nel 1914, quando il regista Lau Lauritzen Sr., allora alla Nordisk, riconobbe il potenziale comico in quella che descrisse come una "lunga pertica". Insieme, i due lavorarono a oltre 70 farse tra il 1914 e il 1919. È da notare che il suo soprannome "Faro" (Fyrtårnet) era un'esagerazione comica: Schenstrøm era alto 181 cm, un'altezza non eccezionale per l'epoca. 

Harald Madsen (Patachon)

Card n.47 - SPORT CIGARETTES 1 

Chr. AUGUSTINUS (1920s)

All'estremo opposto si trovava Harald Madsen. Nato nel 1890, figlio di un calzolaio , Madsen era un artista del corpo puro. La sua formazione non fu il teatro borghese, ma il circo itinerante. Fin dal 1904, fu un artista nomade, specializzandosi come trapezista, contorsionista ed equilibrista. Dal 1915 lavorò come clown per diverse compagnie  e, prima di incontrare Schenstrøm, era già apparso in alcuni film per la svedese Svensk Filmindustri a partire dal 1917. La genialità del duo, quindi, non risiedeva in un'affinità naturale; i due non avevano nulla in comune prima del 1921. Il loro stile unico nacque dalla tensione tra questi due approcci. Lau Lauritzen non si limitò a unire due comici: fuse l'attore di carattere e di repertorio (Schenstrøm) con l'acrobata puro e il clown (Madsen). Questa alchimia tra la "poesia" e la "performance fisica" è la vera fonte del loro stile.

L'Architetto e lo Studio: Lau Lauritzen Sr. e la Nascita di "Fy og Bi" alla Palladium

Carl Schenstrøm, Lau Lauritzen Sr. e Harald Madsen

   (stumfilm.dk)

Il successo di Pat & Patachon non fu un incidente, ma un meticoloso atto di ingegneria produttiva, reso possibile da un vuoto di potere nell'industria cinematografica danese e dall'acume di un singolo regista. Il Contesto: La Crisi della Nordisk e l'Ascesa della Palladium All'inizio degli anni '20, la Nordisk Films Kompagni, un tempo uno dei più grandi studi cinematografici del mondo, stava attraversando una profonda crisi post-bellica. Contemporaneamente, una nuova società, la Palladium, originariamente un'entità svedese, iniziò a investire nel mercato danese, acquistando studi a Hellerup nel 1919.

Nel 1920, Lau Lauritzen Sr. (1878-1938), il regista di farse più prolifico e di successo della Nordisk, fece la mossa decisiva, lasciò la compagnia  in crisi e fu assunto come direttore artistico della neonata Palladium. Portò con sé il  suo attore feticcio, la "lunga pertica" Carl Schenstrøm.  

Un Processo di Casting L'idea per i personaggi dei vagabondi era già nata in una farsa Nordisk di Lauritzen,  De keder sig paa Landet  (1920). 

Il primo film ufficialmente  etichettato "Fy og Bi",  Tyvepak  (1921), fu una produzione ancora legata alla Svezia. In questo film,  Schenstrøm ("Fy") era affiancato da un altro attore nel ruolo di "Bi", Aage Bendixen. Ma Lauritzen non era soddisfatto. La dinamica non funzionava; Bendixen non offriva un contrasto  sufficiente. Il regista aveva in mente  un archetipo preciso, modellato sulla sua passione per  Don Chisciotte. 

Schenstrøm era il suo  cavaliere idealista; ora aveva bisogno di un Sancho Panza leale e fisico. Fu allora che Lauritzen  si ricordò di aver visto Harald Madsen al Circo Schumann e lo convocò nel 1921.

Il primo  film della coppia definitiva Schenstrøm-Madsen fu Flirt og Forlovelse (1921), che diede inizio alla loro leggenda. Lauritzen, il "Re della Commedia", fu l'architetto  del loro successo, dirigendo i loro primi 30 film muti. Come sottolineò suo figlio, Lau Lauritzen Jr., la popolarità globale dei film non era dovuta esclusivamente alle "gags" o allo "slapstick", ma al fatto che "contenevano sempre una piccola storia umana". Lauritzen rimase "confidenzialmente  radicato in una commedia riconoscibile con storie umane e personaggi simpatici". Questo processo rivela una verità fondamentale. A differenza dei loro contemporanei americani come Chaplin o Keaton, che erano autori-interpreti, Pat & Patachon furono, almeno all'inizio, interpreti superlativi che eseguivano la visione di un regista. Sono forse il primo e più grande esempio europeo di un duo comico di successo creato e coltivato da uno  studio system (Palladium) e dalla visione di un regista-produttore. 

L'Estetica del Vagabondo: "Povertà Deliberata per Convinzione"

Card n.134 RAMSES FILM BILDER ALBUM 1

ZIGARETTENFABRIK JASMATZI, Dresden (1930s)

(collezione personale)

Il nucleo tematico che differenzia Pat & Patachon dai loro colleghi americani risiede nella loro filosofia nei confronti della società. Mentre la comicità di Chaplin è radicata nella "commedia della povertà", quella del duo danese prende una  direzione radicalmente diversa. I due "non cercavano di fuggire dalla povertà", un'analisi critica coeva confermata dal teorico del cinema Béla Balázs, che scrivendo su  Der Tag  nel 1924, fornì l'analisi più  lucida del loro stile. Balázs notò che, sebbene condividessero con Chaplin gli abiti strappati e le corde come cinture, "Pat e Patachon non sembrano soffrire affatto della povertà". La loro condizione, secondo Balázs, era una "povertà deliberata per convinzione" (vagabonds' deliberate poverty out of conviction). Erano "bohémien"  e dal loro comportamento traspariva un "discreto, timido e sfacciato disprezzo... verso qualsiasi prosperità e proprietà borghese". Questa visione si allineava perfettamente con l'intenzione originale di Lauritzen di modellarli su  Don Chisciotte. Fy (Pat) era "l'idealista e il cavaliere con molte idee folli", mentre Bi (Patachon) era "leale proprio come Sancho Panza". Questa ispirazione culminò nel loro film più ambizioso, l'adattamento parodistico Don Quixote  (1926). Pat & Patachon rappresentano così una "terza via" filosofica nello slapstick. Lo slapstick americano è spesso definito dalla  lotta  per l'ascesa  sociale: Chaplin lotta  contro  il sistema, mentre Keaton lotta per  padroneggiare  il sistema.  Pat & Patachon sono  esterni  al sistema. Come notato da Balázs, essi vedono la società borghese come un "bizzarro incidente". La loro "ribellione gentile" è una scelta filosofica, non una condizione sociale subita. 

Card n.49 - SPORT CIGARETTES 1 

Chr. AUGUSTINUS (1920s)

Il loro gesto simbolico, identificato da Balázs, è quello di "vagare, mano in mano, attraverso i film". Eterna è solo la strada di campagna, la loro amicizia".

La Conquista dell'Europa e l'Impatto Culturale

Card n.224 MONOPOL FILM-BILDER

CIGARETTENFABRIK MONOPOL G.m.b.H., Dresden, Germany (1930)

(collezione personale)

Prima di Stanlio e Ollio, Pat & Patachon furono il "primo duo comico su pellicola a raggiungere fama e successo internazionali". La loro popolarità negli anni '20 era un fenomeno globale, estendendosi dall'Europa all'Asia, al Sud America e all'Africa, e portando alla Palladium "migliaia di lettere di fan da tutto il mondo".

Card n.89 MONOPOL FILM-BILDER

CIGARETTENFABRIK MONOPOL G.m.b.H., Dresden, Germany (1930)

(collezione personale)

Sebbene popolari ovunque, fu nei mercati di lingua tedesca che raggiunsero uno status quasi mitico. Divennero i "favoriti indiscussi" del pubblico tedesco per tutti gli anni '20 e oltre.  Un accordo di distribuzione strategico, siglato nel 1923 con il commerciante tedesco Lothar Stark, fu la chiave per questa espansione. Il loro dominio  era assoluto, nel solo 1927, il pubblico di Monaco poteva scegliere tra quindici diversi film di Pat e Patachon proiettati in città. Questa non era una semplice popolarità, era una "mania". I cinegiornali dell'epoca documentano "folle di persone" che si accalcavano nelle stazioni ferroviarie per un loro sguardo. Un titolo di giornale berlinese del 1926  proclamava, "Più di 20.000 berlinesi rendono omaggio a Pat e Patachon" durante una loro apparizione allo Sportpalast. La loro visita a Vienna nel 1925 fu descritta come pari al "furore" generato dalla visita dei reali di Hollywood, Mary Pickford e Douglas Fairbanks. La loro influenza culturale penetrò nel tessuto stesso della vita quotidiana. Oltre alle cigarette cards del duo, esistevano "set da caffè Pat e Patachon" e persino "crema per scarpe Pat e Patachon". Ma l'impatto più profondo e duraturo  è linguistico: in Germania e in Austria, il loro nome "Pat und Patachon" è diventato un  idioma  (modo  di dire) per descrivere qualsiasi coppia composta da un individuo alto e uno basso, un termine usato ancora oggi da persone che non hanno mai visto i loro film.

Parte di questo successo globale derivò da un'abile strategia di marketing transnazionale. Il duo non veniva semplicemente "esportato"; veniva "localizzato". I loro nomi venivano cambiati per adattarsi foneticamente e culturalmente a ogni mercato. Questo re-branding dimostra una comprensione sofisticata della distribuzione globale.

Come dimostra la tabella, il re-branding andava oltre la semplice traduzione. “Faro e Sidecar” (DK) diventava “Lungo e Corto” (UK) o “Watt & Halfwatt” (NL), un gioco di parole sull’elettricità. Per il mercato statunitense, furono scelti nomi stereotipati scandinavi come “Ole & Axel”. Il nome “Pat & Patachon”, un’invenzione fonetica orecchiabile, si dimostrò il più efficace, radicandosi profondamente nella cultura tedesca e francese.

Il Muro Americano e la Barriera del Suono

Card n.53 FILM-KÜNSTLER AUS ALLER WELT

JASMATZI CIGARETTENFABRIK G. m. b. Dresden (1930)

(collezione personale)

Nonostante il successo in Europa, Asia e Sud America, il tentativo di Pat & Patachon di penetrare nel lucrativo mercato americano alla fine degli anni '20 "fallì miseramente". Ribattezzati "Ole & Axel" per il pubblico statunitense, non riuscirono a trovare spazio. La causa principale fu la schiacciante concorrenza locale: "In America avevano Laurel e Hardy, che erano molto popolari lì". La comicità più pragmatica e basata sulla gag del duo americano era più in sintonia con il pubblico statunitense rispetto alla "poesia" bohémien dei danesi. 

Il secondo, e più fatale, colpo arrivò con la transizione al cinema sonoro. Il successo internazionale del duo si basava sull'universalità della comicità visiva, supportata da didascalie localizzate. L'avvento del suono distrusse questa universalità. Come per molte star internazionali, divenne "immediatamente più difficile esportare i film... a causa della lingua danese". La loro dipendenza dal mercato tedesco li spinse a un esperimento disperato. Nel 1930 girarono  Taler De Tysk?  ("Parla Tedesco?"). In questo  film, il duo recitava in un "tedesco stentato" (broken German). La mossa ebbe successo  in Germania, dove il film fu "molto popolare", ma fu un "insuccesso in Danimarca", evidenziando  la frattura ormai insanabile nel loro pubblico. Questi due fallimenti sono intrinsecamente collegati. La stessa "europeicità" e la filosofia poetica che li resero superstar in Germania furono  le cause della loro illeggibilità per il mercato americano. Il suono non fece che amplificare questa differenza culturale, rendendola insormontabile. 

 "Raggi della Morte"

Il Crollo Psicologico e la Fine del Duo

Sebbene le pressioni industriali come l'avvento del suono e la concorrenza americana abbiano certamente danneggiato la loro carriera, la fine del duo Pat & Patachon non fu causata da fattori di mercato, ma da una tragica e specifica crisi personale. Le fonti indicano che "negli ultimi anni, la carriera di Madsen fu influenzata negativamente da paranoia e DOC (Disturbo Ossessivo-Compulsivo)". Questa malattia mentale, inizialmente gestibile, precipitò dopo il 1932. Il punto di rottura avvenne dopo le riprese del film  Han, hun og Hamlet  (1932). Harald Madsen "non volle più interpretare Bi, almeno non negli studi della Palladium in Danimarca". La sua paranoia si era focalizzata su un oggetto specifico e terrificante: "Pensava che le lampade [dello studio] generassero pericolosi raggi della morte (death rays)". Di fronte a questa situazione, Lau Lauritzen fu costretto a una mossa drastica: sostituì l'insostituibile. Per i film successivi, il ruolo di Bi fu affidato all'attore Hans W. Petersen. La chimica era sparita e "al pubblico non piacque questo cambiamento". Tragicamente, Madsen continuò a lavorare, ma solo all'estero. Girò film in Germania e Svezia, convinto, nella sua illusione, che i "raggi lì fossero meno dannosi che in Danimarca". Questo pose di fatto fine alla coppia originale, non a causa del progresso tecnologico, ma di una malattia psicologica che rese impossibile per Madsen lavorare nel suo stesso studio.

Ricomporre i Frammenti di Fy og Bi

Card n.20 MONOPOL FILM-BILDER

CIGARETTENFABRIK MONOPOL G.m.b.H., Dresden, Germany (1930)

(collezione personale)

Nonostante la loro immensa fama negli anni '20, Pat & Patachon sono stati in gran parte "cancellati dalla storia globale". Per decenni, sono  stati ridotti a una "nota a piè di pagina" o a una "parte relativamente dimenticata della storia del cinema". Recentemente, il Danish Film Institute (DFI) ha intrapreso un importante progetto di restauro digitale per salvare la loro filmografia. Questo  compito si è rivelato straordinariamente complesso, proprio a causa della natura transnazionale della loro carriera. Le sfide del restauro sono uniche e rivelatrici:

  1. Negativi A/B:  La Palladium girava molti film muti  con due cineprese affiancate. Il Negativo A era destinato al mercato interno danese, mentre il Negativo B era per l'esportazione.

  2. Versioni Multiple:  Il Negativo B non era una semplice  copia. Presenta angolazioni di ripresa leggermente diverse, è spesso più corto e, soprattutto, ha un numero drasticamente ridotto di didascalie (a volte 70-80 in meno) per facilitare il doppiaggio o la sostituzione all'estero. 

  3. Fonti Transnazionali:  Spesso, il materiale originale  danese (Negativo A) è in condizioni peggiori o frammentario. Ad esempio, il primo rullo del loro capolavoro  Don Quixote  è gravemente deteriorato. Paradossalmente, le migliori fonti per il restauro dei film "danesi" provengono da archivi esteri, in particolare da "stampe in nitrato svedesi da 35 mm" che sono sopravvissute in condizioni eccellenti e splendidamente colorate.

Lo stato del loro archivio rispecchia perfettamente la loro carriera. Pat & Patachon non erano un fenomeno monolitico, ma un'entità transnazionale che esisteva simultaneamente in versioni multiple per mercati diversi. Non esiste un'unica versione "definitiva" dei loro film. Il lavoro del DFI, quindi, non è un semplice "restauro", ma un complesso "assemblaggio" accademico di frammenti internazionali per ricostruire un fenomeno che era, per sua stessa natura, multiplo.

L'Eredità Duratura dei Primi Antieroi Comici d'Europa

L'analisi di Pat & Patachon rivela una storia molto più ricca e complessa di quella di un semplice duo slapstick dimenticato. Furono i primi veri precursori di duo comici internazionali come Laurel & Hardy, stabilendo un modello di successo  globale decenni prima. La loro comicità, orchestrata dal genio produttivo di Lau Lauritzen Sr., non era solo fisica ma profondamente filosofica. Incarnavano un archetipo unicamente europeo: il vagabondo "bohémien" la cui "povertà deliberata", rappresentava  un rifiuto gentile ma assoluto dei valori borghesi, un'estetica che li distingueva nettamente dalla tradizione americana. Il loro impatto culturale in Europa fu indelebile, cementato dall'adozione del loro nome, "Pat und Patachon", come idioma permanente nella lingua tedesca. Il loro declino fu altrettanto complesso, segnato non solo dalla barriera tecnologica del suono, ma stroncato da una tragedia psicologica personale. Oggi, mentre il Danish Film Institute ricompone meticolosamente i frammenti della loro eredità da archivi sparsi in tutta Europa, Pat & Patachon  riemergono non solo come pionieri della comicità, ma come un affascinante caso di studio sul primo vero fenomeno cinematografico transnazionale d'Europa.

Filmens Helte come Testamento Metacinematografico

Tra i frammenti ricomposti della loro filmografia, Filmens Helte (1928) emerge oggi come una delle opere più emblematiche dell’eredità di Pat & Patachon. In questo film, i due vagabondi vengono catapultati nel mondo del cinema stesso, costretti a interpretare ruoli che non comprendono, in un gioco metacinematografico che anticipa riflessioni moderne sull’identità dell’attore e la macchina spettacolare.
Rivedere oggi Filmens Helte, restaurato con pazienza filologica dal Danish Film Institute, significa assistere a un doppio miracolo: quello della sopravvivenza materiale di una pellicola fragile, e quello della sopravvivenza simbolica di un’estetica comica che ha saputo attraversare i confini, le lingue e persino la follia. È il loro testamento poetico, un ultimo inchino alla macchina da presa prima che il suono, il mercato e la mente li separassero per sempre.


CHRISTIE COMEDY GIRLS

 lo slapstick al femminile che rivoluzionò Hollywood

Card n.14 CHRISTIE COMEDY GIRLS

CARRERAS Ltd. (1928)

(collezione personale)

Negli anni ’20, quando il genere slapstick era dominato da giganti come Charlie Chaplin, Buster Keaton e Harold Lloyd, la Christie Film Company seppe distinguersi con una proposta innovativa: le Christie Comedy Girls. Attrici brillanti e dinamiche, capaci di portare sullo schermo una comicità fisica e situazionale che ridefiniva il ruolo della donna nel cinema muto. Non più semplici comparse o spalle comiche, ma protagoniste di gag, equivoci e situazioni esilaranti.

Card n.15 CHRISTIE COMEDY GIRLS

CARRERAS Ltd. (1928)

(collezione personale)

Le commedie prodotte dagli Christie Studios avevano un sapore particolare. Non si limitavano alle acrobazie bizzarre o alle gag esagerate che spesso caratterizzavano il genere, ma puntavano sulla commedia situazionale: il divertimento nasceva da contesti quotidiani portati all’estremo, da equivoci che si trasformavano in catene di risate. In questo terreno fertile, le attrici trovavano spazio per esprimersi con ruoli attivi e dinamici. Non erano più figure decorative o “oggetti del desiderio”, ma donne che correvano, cadevano, si travestivano, inseguivano e venivano inseguite, con una gestualità esagerata che faceva parte integrante del loro fascino.
Il bello è che tutto questo non cancellava la loro eleganza. Al contrario, le Christie Comedy Girls riuscivano a mescolare glamour e ironia, creando un’immagine di donna moderna, indipendente e intraprendente. In certi casi, le commedie flirtavano con il tono scandaloso, come nel film Up in Mabel’s Room del 1926, una farsa ricca di sottintesi e slapstick in abbondanza, che giocava con la libertà e lo spirito ribelle dell’epoca. Non è un caso che Al Christie fosse considerato un sostenitore delle donne nel cinema muto: offriva loro spazio e visibilità, permettendo di ribaltare le convenzioni sociali con il sorriso.

Card n.13 CHRISTIE COMEDY GIRLS

CARRERAS Ltd. (1928)

(collezione personale)

La popolarità di queste attrici non si limitava allo schermo. Diventarono vere e proprie icone pop, celebrate anche attraverso questa serie di cigarette cards, che le ritraeva in pose glamour e contribuiva a fissarne l’immagine nell’immaginario collettivo. Questi oggetti da collezione, raccontano ancora oggi, quanto fossero amate e quanto il pubblico le percepisse come protagoniste di un nuovo modo di fare comicità.

I nomi che brillavano in questo firmamento erano tanti: Betty Compson, Dorothy Devore, Anita Garvin, Marie Prevost, Billie Rhodes, Vera Steadman, Ann Christy, Duane Thompson, Frances Lee, Gayle Lloyd, Caryl Lincoln, Edna Marion, June Manners.

Card n.12 CHRISTIE COMEDY GIRLS
CARRERAS Ltd. (1928)

(collezione personale)

E poi Anne Cornwall, descritta come una delle attrici più versatili del cinema muto, capace di passare dai corti comici ai lungometraggi con naturalezza. Ognuna di loro portava sullo schermo un mix unico di ironia e fascino, contribuendo a rendere le Christie Comedies un fenomeno culturale.

Guardando indietro, le Christie Comedy Girls non furono soltanto attrici di commedie leggere. Furono pionieristiche nel modo in cui ridefinirono la presenza femminile sullo schermo. Con il loro stile ironico e glamour, aprirono la strada a generazioni di attrici comiche e protagoniste, dimostrando che lo slapstick non era un territorio esclusivamente maschile. Oggi, i frammenti dei loro film e le figurine sopravvissute ci restituiscono l’immagine di un’epoca in cui la risata aveva finalmente un volto femminile.


RIDERE PER RICOMINCIARE

Dalle piste polverose del circo ottocentesco e dal suono secco del batacchio, fino alle comiche silenziose del cinema muto, lo slapstick ha raccontato la storia di una caduta che non fa male. È un linguaggio universale, fatto di gesti, ritmo e finzione, dove la violenza è solo apparente e il dolore non lascia traccia. Si ride non perché qualcuno soffre, ma perché quel qualcuno si rialza, sempre.
L’Europa ha dato forma ai primi archetipi: Arlecchino, il servo agile che parlava con il corpo; i Fratellinis, che trasformarono il caos in coreografia; e i pionieri del cinema come Cretinetti, Polidor e Max Linder, che portarono il gesto teatrale sullo schermo e ne fecero grammatica visiva. Ma è negli Stati Uniti che lo slapstick ha raggiunto la sua maturità più profonda, diventando arte, filosofia, riflessione.
Chaplin ha trasformato il buffone in poeta. Da personaggio crudele e caotico, ha creato il Vagabondo: tenero, emarginato, capace di far ridere e commuovere nello stesso istante. Keaton, con il suo volto immobile e la precisione acrobatica, ha costruito gag come ingranaggi perfetti, dove l’uomo sfida la macchina e il destino con logica e silenzio. Lloyd ha scelto la via dell’identificazione: il ragazzo qualunque, vulnerabile ma determinato, che lotta per il sogno americano e ci fa tremare per ogni sua impresa.
Accanto a loro, i danesi Pat & Patachon hanno incarnato una comicità povera e sincera, lontana dal pragmatismo americano. Laurel & Hardy hanno rallentato il ritmo, trasformando la caduta in una danza, una liturgia dell’assurdo, dove l’ingenuità e la vanità si rincorrono senza mai ferirsi davvero. Infine le Christie Comedy Girls che hanno trasformato lo slapstick nella commedia situazionale ( il concetto fondamentale della moderna sit-com).
E allora, guardando questo percorso, si capisce che lo slapstick non è solo una forma comica, è una metafora della resilienza. I suoi eroi vivono in un mondo ostile, fatto di ostacoli, torte in faccia, porte sbattute e treni in corsa. Ma non si arrendono. Cadono, si rialzano, e lo fanno con dignità, anche se goffa, anche se patetica. E proprio lì, in quel gesto ripetuto, c’è qualcosa di profondamente umano.
La risata che ne nasce non è una fuga dal dolore, ma un modo per accettarlo. È il riconoscimento che il disastro è inevitabile, ma che il tentativo di rialzarsi è ciò che ci rende vivi. Dopo ogni batacchio, dopo ogni caduta, c’è sempre un nuovo inizio. E forse, in quel gesto senza parole, c’è tutta la nostra storia.